Dopo alcuni mesi di silenzio, nel corso dei quali sono continuante le indagini e le testimonianze da parte di difesa e accusa, si riapre la questione del processo per genocidio mosso contro Bibi Netanyahu – il presidente israeliano – e la sua leadership di governo: un’accusa lanciata originariamente dal Sud Africa presso la Corte penale internazionale dell’Aja che, secondo alcune indiscrezione che stanno circolando in queste ore, potrebbe avere pronto un mandato d’arresto nei confronti dello stesso Netanyahu, ma anche del suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, e del capo dell’esercito di Tel Aviv, Herzi Halevi.
A lanciare per primo l’indiscrezione è stato il sito Walla, seguito poi dalla maggior parte dei media israeliani, che parlano anche di alcune telefonate tra il leader dello Stato Ebraico e il suo omologo statunitense Joe Biden. Telefonate – secondo alcuni “continuate durante tutto il weekend” – per convincere il Democratico americano a intercedere per bloccare l’eventuale decisione della Corte dell’Aja e, soprattutto, l’arresto di Netanyahu. Nulla di certo, va specificato chiaramente, ma le stesse indiscrezioni riportano che il verdetto e gli eventuali mandati d’arresto potrebbero essere emessi proprio nel corso di questa settimana.
L’ex giudice della Corte Aja: “Netanyahu rischierebbe l’arresto in 123 paesi”
Per comprendere meglio la posta in gioco, tanto per Netanyahu, quanto per lo stato di Israele e per la guerra in corso contro Hamas, la redazione del Quotidiano Nazionale ha rivolto alcune domande alla giudice Silvana Arbia che negli anni ha lavorato come capo cancelliere della Corte dell’Aja, oltre che come procuratrice – sempre nelle Cpi – per il Tribunale del Ruanda. “Lo stato di Israele”, ricorda, “è chiamato a rispondere di presunte accuse di genocidio” e fermo restando che la tesi deve essere supportata, “se le prove sono sufficienti il procuratore più richiedere un mandato di arresto anche contro Netanyahu” perché tanto all’Aja quanto in ogni altro tribunale del mondo, “nessuno è al di sopra della legge”.
Complessivamente, il mandato dovrebbe essere rispettato da tutti i “123 paesi che sono parte della Cpi” nel momento in cui il ricercato mette piede sul loro suolo, ma è anche vero che “Stati Uniti, Cina, India, Russia, Turchia e Arabia Saudita” non fanno parte della giurisdizione internazionale e potrebbero ospitare tranquillamente Netanyahu, Gallant ed Halevi. Sul pressing da parte degli USA, Arbia conferma che sia possibile “ai sensi del Capitolo VII”, ma rappresenterebbe anche un fatto “molto grave perché significherebbe perdere le prove, per la Corte perdere indipendenza e credibilità e veder venir meno per le vittime la possibilità di trovare giustizia”.