Sono passati cinquant’anni, ma immaginario nostalgico e un po’ d’orgoglio italico fanno sì che sembra siano trascorsi appena cinque minuti, tanta impronta hanno lasciato quelle fantastiche imprese. Nel gennaio 1974 Piero Gros, Gustav Thoeni, Erwin Stricker (il “cavallo pazzo”), Helmuth Schmalzl e Tino Pietrogiovanna smisero le loro individualità e divennero “la Valanga azzurra”, cinque cavalieri di un’apocalisse che sconvolse il ranking mondiale dello sci, trasferendo in Italia le coppe dei primi cinque posti del gigante di Berchtesgaden, Alpi Salisbughesi, a valle del Nido dell’aquila di hitleriana memoria. Una manita incredibile, pilotata dal compianto Mario Cotelli, direttore tecnico che seppe conquistare cinque Coppe del mondo generali, dal ’71 al ’75, con una nazionale temibile, fatta di ragazzi pieni di voglia, di muscoli, di passione.



Quel giorno (era il 7 gennaio) si correva il terzo gigante della Coppa, ottava edizione, in una gara-selezione in vista dei Mondiali di Saint Moritz. Fu quel clamoroso successo a promuovere lo sci a fenomeno di massa, uno sport che lasciò le élites per diventare seguito e praticato. E alla fine perfino pop, grazie a “Vacanze di Natale” dei Vanzina, che arrivò circa dieci anni dopo, anche questo divenuto capitolo dell’immaginario di costume.



Ma “quelli della valanga” dove sono finiti? Piero Gros oggi ha 69 anni. Dopo il ritiro dallo sci, è diventato commentatore sportivo per varie emittenti. Dall’85 al ’90 è stato anche sindaco del suo paese d’origine, Sauze d’Oulx. Ai Mondiali di Sestriere 1997 ricoprì diversi incarichi dirigenziali; fu impegnato anche nei Giochi olimpici invernali di Torino 2006. “Quel 7 gennaio fu un giorno indimenticabile. Vivevamo la nostra passione: famosi, acclamati, benestanti. Restituimmo tutto con i risultati: creammo un gruppo vincente di 10-12 atleti, diventammo un fenomeno sociale”.



Erwin Stricker è scomparso a Bolzano nel 2010, a sessant’anni. Dopo il ritiro dalle gare, aveva intrapreso attività imprenditoriali e soprattutto la promozione dello sci alpino, quale ambasciatore della Federazione internazionale sci. Fu anche commentatore sportivo per la Rai.

Helmuth Schmalzl, nato a Ortisei, ha 76 anni. Terminò la sua carriera sciistica nel ’75, ma divenne direttore tecnico della nazionale italiana, e fu tecnico della Federazione internazionale sci, tracciatore delle libere. Anche Tino Pietrogiovanna (classe 1950, Santa Caterina Valfurva) si ritirò nel ’75, e divenne allenatore del Comitato Alpi Centrali e della squadra A maschile di slalom e gigante della nazionale italiana, seguendo anche Alberto Tomba. Successivamente allenò Deborah Compagnoni. Dal 1999 al 2005 è stato direttore tecnico della squadra A femminile.

Resta Gustav Thoeni (nato allo Stelvio nel ’51), uno dei più grandi campioni di sempre, quattro vittorie nella Coppa del Mondo generale, un secondo posto nel 1974, cinque Coppe del Mondo di specialità e successi ai Mondiali e alle Olimpiadi: oro nello slalom gigante e argento nello slalom speciale ai Giochi olimpici invernali di Sapporo 1972, argento nello slalom speciale a Innsbruck 1976, due ori (slalom gigante e slalom speciale) ai Mondiali di Sankt Moritz 1974 e altri due titoli mondiali in combinata nel 1972 e nel 1976. Terminò le gare nel 1980, e divenne allenatore della nazionale italiana. Per anni seguì personalmente Alberto Tomba, contribuendo ai suoi successi.

Oggi parlare di Thoeni è parlare di sci e di montagna, un binomio che sembra inscindibile, nonostante ciclicamente alcuni vorrebbero relegare gli sport sciistici e gli impianti che li servono in una riserva limitata, quasi fossero una macchia sulla inviolabilità delle terre alte. “Ma le funivie sono vitali: per il turismo montano non c’è un piano B”, ha detto proprio Thoeni, che è anche albergatore in Val Venosta, sotto il ghiacciaio dell’Ortles, dove si presta continuamente ai selfie con i suoi ospiti.

Nessun piano B, ma anche nuovi problemi da affrontare. “La crisi climatica – ha detto Valeria Ghezzi, la presidente Anef, l’associazione degli impiantisti funiviari – è certamente uno scenario da affrontare per la montagna, ma si evolve, e più che cambiare progetti o trovare un piano B, dobbiamo parlare di un continuo adattamento alla situazione, di resilienza. Le società impianti investono sull’estate, che ha ampi margini di crescita, e sugli altri periodi, ma contemporaneamente si continua a lavorare sulle tecnologie per la neve. Non dimentichiamo che l’inverno rappresenta, ancora oggi, lo zoccolo duro del nostro fatturato”.

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