June è una mamma coraggiosa. Dopo aver perso tragicamente il marito, la madre e ogni altro legame, si è rifugiata in una isolata casa nella foresta, lontana da tutto e da tutti. Il mondo, nel futuro distopico di Never let go, è un pallido ricordo, dominato da un oscuro male invisibile che ha tolto la vita a ogni uomo e donna del pianeta. June, insieme ai suoi due figli, vive nella foresta, protetta da una casa immune al male.



I film memorabili, nell’ecosistema del cinema horror, sono cosa rara. E questo, lo possiamo dire, non appartiene alla breve lista. Ciononostante Never let go, diretto dal regista francese Alexandre Aja (noto soprattutto per il remake de Le colline hanno gli occhi), fa il suo dovere, portandoci nel mezzo di una spettrale foresta con presenze ingombranti.



A distanza di sicurezza dal mondo, tra rami, dirupi e sparuti insetti, vive in un regime di privazione un’affiatata famigliola. June, Halle Berry, madre coraggiosa e protettiva, e due simbiotici fratellini, Nolan e Samuel, istruiti da mamma alla sopravvivenza nel mondo che non c’è più.

Nel racconto di Kevin Coughlin e Ryan Grassby, che hanno scritto la sceneggiatura nei mesi del lockdown, il male si è impossessato della civiltà, prendendosi il resto del mondo e della famiglia. L’unico presidio di vita e di amore sembra essere la Casa Benedetta, isolato rifugio nella foresta a cui i tre protagonisti rivolgono, come litanie, preghiere di riconoscenza. La casa è sicurezza, protezione, vita indisturbata, ma per vivere bisogna cacciare e per cacciare bisogna spingersi tra la vegetazione, costellata di presenze inquietanti e mortifere.



Aja si inventa l’espediente della corda, strumento di sopravvivenza e probabile allegoria del cordone ombelicale di una mamma che tiene a sé i propri figli per non darli “in pasto” al mondo. Con la corda attorno al corpo il pericolo è sotto controllo poiché il male non potrà aggredirli. E i tre, con fischietto al collo e la sicurezza legata al proprio fianco, si avventurano quotidianamente nell’ombra della fitta e misteriosa vegetazione per cercare animali ma anche semplici insetti, per sfamarsi dopo un lungo inverno. O perfino cortecce, da sbranare quando la fame morde.

Ma ben presto la routine si fa dura. Mamma Halle smagrisce per lasciare ogni speranza di vita ai propri figli, mentre il più giovane dei due inizia a dubitare delle regole della madre, sfiorando l’idea di liberarsi dalla schiavitù dalla corda e dagli angusti confini della casa.

Aja ci racconta le forti emozioni della casa, amplificate dall’inquietante solitudine dei giorni, evocazione dell’isolamento da Covid. Mente fuori dalle mura di casa compare il primo demone dalla lingua biforcuta, nelle sembianze della defunta nonna.<

Da qui in poi, la tensione – ben preparata per metà film – cresce tra eventi prevedibili e inevitabili comparse. E mentre il thriller diventa horror, la sceneggiatura cerca disperatamente una via d’uscita che non sia la solita deriva demoniaca. Per qualche tempo ci riesce, con qualche sparuto colpo di scena, per chiudersi senza gravi eccessi tra lacrime, (un po’ di) sangue e disperazione. Sarà il male o il bene a sopravvivere?

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