I primi tre minuti della nuova stagione di New Amsterdam sono forse il ricordo più bello e struggente dell’anno terribile della pandemia. I protagonisti – operatori sanitari dell’unico ospedale pubblico di New York – vivono in rapida successione la sorpresa, la lotta, lo sconforto, la fatica, e, con l’arrivo del vaccino, la vittoria su un virus sconosciuto e cattivo. Una vittoria amara, perché sul campo ci sono state perdite enormi. Consiglio la visione a prescindere.
Dunque, l’intera terza stagione della popolare serie tv è andata in onda nel mese di giugno in esclusiva su Canale5 in prima serata (martedì 29 gli ultimi due episodi ma può essere scaricata in streaming su MediasetPlay/Infinity ancora per qualche settimana). Con un risultato di tutto rispetto di circa 1,8 milioni di spettatori per puntata, che conferma il successo ottenuto dalla prima stagione riapparsa su Netflix durante la pandemia. Non era stato così quando la serie era arrivata la prima volta in Italia nel 2018 proprio su Canale5.
New Amsterdam non è un prodotto di altissima qualità e, come sostiene una parte rilevante della critica, non aggiunge nulla al corposo catalogo di medical drama sfornati negli ultimi anni. Eppure colpisce per la sua natura politica, la sua partigianeria a difesa del ruolo pubblico della sanità e di quanto ci sia bisogno di un’assistenza alla persona non orientata solo al business.
Se nella prima e seconda stagione la visionaria battaglia del dottor Max Goodwin, giovane direttore sanitario dell’ospedale, è rivolta sostanzialmente ad affermare il diritto alla salute come diritto universale, nella terza stagione egli si misura con la trasformazione del sistema sanitario imposto dalla pandemia: bisogna essere più attenti al territorio, fronteggiare l’invadenza di nuove credenze e delle false informazioni, usare al meglio la telemedicina.
Il Covid ha radicalmente cambiato il punto di vista delle persone su tante cose ma in particolare su come debba funzionare la sanità. Così – puntata dopo puntata – i medici del New Amsterdam ci conducono in una concreta lettura dei problemi posti dalla lunga battaglia contro il virus. Persone che hanno sospeso i loro cicli di cura e si sono riammalati, altri che hanno trascurato i controlli, altri ancora che hanno sviluppato nuove paure e sospetti verso tutto ciò che ha a che fare con un ospedale.
Il Covid ci ha obbligato a ragionare sull’intero mondo mondo di una comunità, e per la prima volta da decenni ogni comunità – in particolare una città come New York con migliaia di “invisibili” – ha dovuto rivolgere l’attenzione al 100% della sua popolazione. Durante l’epidemia non c’era nessuno che poteva essere lasciato indietro, la battaglia si sarebbe vinta solo se i più deboli – tutti i più deboli: gli anziani, i più fragili, i più poveri – avessero ricevuto l’attenzione necessaria, messi al primo posto.
Il gruppo di giovani medici che con il dottor Goodwin gestiscono l’ospedale sono spinti a fare qualcosa di più, anche personalmente. La dottoressa Helen Sharpe, ad esempio, ospita a New York una lontana nipote iraniana rimasta orfana, la dottoressa Bloom, ritornata a dirigere il pronto soccorso, dà assistenza a una tassista immigrata trovata a vivere nella sua auto, il chirurgo Floyd Reynolds torna da Los Angeles per assistere da vicino la mamma malata. Lo stesso Goodwin decide di riportare a casa la piccola figlia Luna, nel disperato tentativo di crescerla da solo.
L’altro aspetto che segna la terza stagione è il tema della diversità di genere. Dalla protesta degli eredi dei primi abitanti dell’isola di Manhattan che rifiutano le cure perché contestano il nome stesso dell’ospedale, a ogni diversità etnica, sessuale, culturale. Il New Amsterdam diventa così una frontiera di tutte le grandi battaglie del momento vissute dal punto di vista di un grande ospedale, che può dare l’esempio, contribuire a cambiare cattive abitudini (come usare troppo monouso di plastica), aiutare a fronteggiare nuove malattie, salvare l’ambiente.
L’approccio legato al dopo-pandemia (in ospedale tutti devono mantenere rigidamente i protocolli e si porta ancora la mascherina), porta Goodwin e i suoi a estremizzare, fino ad apparire un manipolo di esaltati, a essere eccessivi e ideologici. Ma sono mossi da un impegno autentico, l’umanità del gruppo di medici e la loro disponibilità ad accettare i propri errori, contribuisce a svelare il lato ragionevole di ogni questione posta.
Nel cast non ci sono nuovi arrivi, e la squadra dei cinque attori protagonisti (Ryan Eggold, Janet Montgomery, Freema Agyeman, Jocko Sims e Tyler Labine) funziona ancora egregiamente. Resta a casa invece il dottor Kapoor (interpretato dall’attore indiano Anupam Kher) guarito da una forma grave di Covid, ma che non è più in grado di riprendere il lavoro. Il successo ha spinto la NBC ad annunciare subito anche la quarta e quinta stagione.
Riprova ulteriore che la sanità – grazie al Covid – è tornata al centro dell’attenzione delle persone.
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