CONTINUA LA REPRESSIONE DELLA CHIESA IN NICARAGUA: ORTEGA CHIUDE LA NUNZIATURA

Dura da mesi – ma in realtà è anni che si protrae – la sanguinosa repressione totalitaria del regime comunista-sandinista di Daniel Ortega in Nicaragua contro la Chiesa Cattolica: dopo l’arresto di preti e vescovi, la messa al bando di decine di partiti dell’opposizione, associazioni religiose e dopo aver anche vietato la Via Crucis per la prossima Pasqua, il dittatore nei giorni scorsi ha deciso di chiudere anche la Nunziatura Apostolica a Managua (in pratica l’ambasciata del Vaticano in Nicaragua).



Lo scorso 17 marzo l’incaricato d’affari, a.i., della Nunziatura Apostolica in Nicaragua, Monsignor Marcel Diouf, ha lasciato il Paese e si è trasferito in Costa Rica: il motivo è molto semplice, poco prima aveva ricevuto l’ordine diretto da Ortega della chiusura della Sede Diplomatica del Vaticano nella capitale nicaraguense. Per regolamenti diplomatici, la custodia della sede della Nunziatura Apostolica e dei suoi beni è stata affidata, come sancisce la norma della Convenzione di Vienna sui Rapporti Diplomatici, alla Repubblica Italiana. Un anno esatto fa, il 12 marzo 2022, il nunzio apostolico a Managua, monsignor Waldemar Stanisław Sommertag, era stato espulso dal Paese: «Tale misura appare incomprensibile – sottolineava un comunicato della Santa Sede – perché nel corso della sua missione monsignor Sommertag ha lavorato con profonda dedizione per il bene della Chiesa e del popolo nicaraguense, specialmente delle persone più vulnerabili, cercando sempre di favorire i buoni rapporti tra la Sede Apostolica e le autorità del Nicaragua». Del resto davanti agli appelli del Papa per mantenere vivo il dialogo sincero con il Nicaragua, non più tardi dello scorso settembre, il presidente Ortega definiva in questo modo il papato e la Chiesa: «è una dittatura perfetta. Chi elegge i sacerdoti? Chi elegge i cardinali? Chi elegge il papa? E’ una dittatura perfetta, una tirannia perfetta».



ONU: “CRIMINI CONTRO UMANITÀ IN NICARAGUA”. ORA COSA SUCCEDE

Già lo scorso dicembre, con l’accentuarsi delle disposizioni dittatoriali di Ortega contro rappresentanti della Chiesa e fedeli cattolici in Nicaragua, Papa Francesco in una intervista alla ABC aveva spiegato che «La Santa Sede non se ne va mai da sola. Viene espulsa. Cerca sempre di salvare le relazioni diplomatiche e di salvare ciò che può essere salvato con pazienza e dialogo». Nella più recente intervista a Infobae invece, il Santo Padre era stato nettamente più “duro” nei confronti del regime che opera da decenni contro le libertà del popolo nicaraguense: «È come le dittature comuniste e hitleriane. Ortega manifesta segni di squilibrio».



In un altro passaggio ancora il Papa aveva evidenziato come in Nicaragua, «è qualcosa che è al di fuori di quello che stiamo vivendo, è come se portasse la dittatura comunista del 1917 o la dittatura hitleriana del 1935, portando la stessa qui… Sono una specie di dittature villane». Ora la decisione della chiusura della Nunziatura e l’interruzione dei principali rapporti diplomatici tra Santa Sede e regime. Lo scorso 6 marzo intanto la Comunità internazionale ha finalmente preso in considerazione gli atti criminosi che da mesi infiammano la situazione nell’America Centrale: «Le autorità del Nicaragua hanno commesso violazioni dei diritti umani in modo diffuso e sistematico, tra cui omicidi, incarcerazioni, torture, violenze sessuali, deportazioni forzate e persecuzione politica. Un quadro di  elementi che porta a ipotizzare crimini contro l’umanità», si legge nel comunicato ONU emerso dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Prove, testimonianze e denunce sono state presentate contro quanto sta avvenendo in Nicaragua sotto l’egida del regime controllato dal presidente Ortega e dal vicepresidente Rosario Murillo.