Un dispositivo stampato in 3D delle dimensioni di un quarto di dollaro americano, chiamato NICHE, potrebbe cambiare drasticamente la cura del diabete di tipo 1: esso, infatti, se impiantato sotto la pelle, assumerebbe il ruolo di un pancreas bioingegnerizzato. Lo studio su questa nuova metodologia, come riportato dal The Jerusalem Post, è stato condotto da Houston Methodist Medical Center in Texas e pubblicato dalla rivista Nature. Il titolo è “Piattaforma di incapsulamento di homing di cellule impiantabili neovascolarizzate con consegna di immunosoppressori locali sintonizzabili per il trapianto di cellule allogeniche”.
All’interno del NICHE i ricercatori hanno inserito delle cellule insulari e dei farmaci per l’immunoterapia. Le isole, in particolare, contengono diversi tipi di cellule, tra cui quelle pancreatiche che producono ormoni utili alla gestione degli zuccheri e le beta che producono l’ormone insulina. Il diabete di tipo 1, infatti, è causato da una reazione autoimmune che distrugge queste tipologie di cellule. Le iniezioni regolari di insulina sono il trattamento più convenzionale, ma il raggiungimento di uno stretto controllo dei livelli di glucosio rimane impegnativo per i pazienti. I più gravi sono per questo motivo costretti a ricorrere al trapianto, che però porta alla somministrazione a vita di immunosoppressori pesanti per evitare il rigetto. Il dispositivo innovativo riuscirebbe a risolvere entrambi i problemi in modo meno limitante.
NICHE, dispositivo stampato 3D per cura diabete 1: i primi test
Il trattamento per la cura del diabete di tipo 1 con il NICHE, un piccolo dispositivo stampato in 3D e impiantato sotto pelle, è stato testato su modelli animali per 150 giorni e non ha mostrato affetti avversi. La prima piattaforma che combina vascolarizzazione diretta e immunosoppressione locale in un unico dispositivo impiantabile per il trapianto di isole allogeniche e gestione a lungo termine della malattia sembrerebbe dunque funzionare. “È un risultato chiave”, ha affermato il dottor Alessandro Grattoni, che è stato a capo della ricerca e presidente del dipartimento di nanomedicina. “Questo dispositivo potrebbe cambiare il paradigma di come vengono gestiti i pazienti e può avere un impatto enorme sull’efficacia del trattamento e sul miglioramento della loro qualità di vita”.
Al momento il serbatoio del dispositivo necessita di un rifornimento ogni 28 giorni, ma i ricercatori stanno lavorando per potenziare la tecnologia per l’implementazione clinica, in modo che ciò possa essere necessario solo una volta ogni 6 mesi. La capacità di ricaricarlo è comunque un fattore positivo, dato che consente un uso a lungo termine nei pazienti. I cambiamenti nelle formulazioni o nella concentrazione dei farmaci potrebbero estendere gli intervalli di ricarica a una volta all’anno, allineandosi alle visite mediche di routine.