Nick Cave ne ha combinata un’altra. Dopo le già discusse operazioni come l’ultimo disco in studio Ghosteen e il live At Alexandra Palace, registrato in piena pandemia in completa solitudine al pianoforte, esce adesso un disco che farà discutere ancora di più, irritando i vecchi fan che lo vorrebbero ancora l’idolo maledetto imbottito di eroina che geme e si contorce davanti al microfono. Con buona pace di tutti, Nick Cave è oggi un’altra cosa. Un signore sessantenne, che ha affrontato il lutto più terribile che si possa affrontare, la perdita di un figlio. Un uomo che medita, riflette, si isola, ma che in definitiva sta solo approfondendo il cammino intrapreso quando aveva vent’anni e lo fa con vivida curiosità, voglia di sperimentare, mettersi in gioco prima con se stesso che con il suo pubblico. E’ tutta una logica conseguenza, se lo si è conosciuto davvero.
Così non stupisce un disco come questo, in uscita il 4 dicembre, intitolato L.I.T.A.N.I.E.S, testi di sua composizione e musica del compositore belga Nicholas Lens, autore di musica contemporanea profondamente ispirata dalla cosiddetta classica. Suoi lavori precedenti includono Slow Man (2012), con il vincitore del Premio Nobel John M. Coetzee, e Shell Shock (2014), sempre con Nick Cave.
L.I.T.A.N.I.E.S è un’opera da camera trance-minimal di grandissimo effetto. L’idea dell’opera è stata concepita durante il lockdown: il silenzio, la pace regnante, il contatto con la natura nel corso delle passeggiate, ha riportato alla memoria di Lens la visita al tempio Zen di Runzai in Giappone. Una sensazione condivisa da Nick Cave che ha accettato immediatamente di realizzare il libretto scrivendo 12 litanie “che sono delle suppliche religiose” commenta Cave “e mi sono accorto di aver scritto litanie per tutta la mia vita”. E’ vero.
“Ero in lockdown, il mio tour mondiale era stato cancellato ed ero alla deriva in una sorta di strano malessere, sia apocalittico che noioso. Nicholas mi ha chiamato e mi ha chiesto se volevo scrivere “dodici litanie”. Mi sono trovato felicemente d’accordo. La prima cosa che ho fatto dopo aver messo giù il telefono è stata la ricerca “Che cos’è una litania?”. Ho imparato che una litania era “una serie di petizioni religiose” e mi sono reso conto che avevo scritto litanie per tutta la vita. Durante la settimana successiva scrissi a Nicholas dodici pezzi lirici che tracciavano la nascita, il fiorire, la frattura e la rinascita di un essere umano: petizioni a un creatore divino che chiedevano una sorta di riconoscimento cosmico e lo trovavano magnificamente reso nella musica meravigliosa che Nicholas componeva. Un tale privilegio. Un tale piacere. Un tale onore” dice l’artista australiano.
L.I.T.A.N.I.E.S è ovviamente un lavoro difficile, che richiede spirito d’animo preparato a immergersi in una dolcezza musicale rara, con la bellissima voce della moglie dello stesso Lens, Clara-Lane, e altre vocalist e anche quella di Nick Cave in alcuni brani.
Dodici composizioni in tutto, della durata di cinque minuti circa l’una, ma che vanno ascoltate tutte insieme, per non spezzare il magico influsso poetico sprigionato, una pausa dai rumori e dalle distorsioni mediatiche, politiche, cialtrone che ammorbano la nostra vita quotidiana, oggi più che mai. Spesso sembra di immergersi in composizioni dall’afflato medievale, altre volte l’eco è quello di antiche ballate anglosassoni.
E’ un viaggio, come ha detto Cave, dal dolore dell’assenza, Litany of Divine Absence (“Dove sei? Diventa te stesso così che io possa vederti”) attraverso Litany of the Blooming (fiorire) in cui un figlio si apre al mondo attraverso la prima cosa che i suoi occhi vedono, il volto amorevole della madre e il senso di appartenenza che li lega (“Tra i miliardi di persone mia madre sapeva che ero suo figlio e così sono cresciuto ho visto il viso di mia madre, un sole”).
Poi la dispersione, la mancanza, la separazione, come in ogni rapporto filiale in The Litany of Yearning, la litania del desiderio. In Litany of Fragmentation Cave alza la disperazione del bisogno di essere abbracciato ancora, ma quella presenza amata non c’è più. Allora chiede a Dio: “Se tu sei qui, raccoglimi, O Signore, ascolta la mia preghiera, sono qui e tutto intorno (…) ero un figlio e sono cresciuto, cresciuto nel mio futuro e in frammenti, aspiro al Cielo”.
Litany of the forsaken, la litania degli abbandonati, è quello che tutti siamo, sperduti in un viaggio di solitudine e di fatica una volta cresciuti: “L’amore passa, nulla persiste, nulla dura a lungo, come un canto funebre”.
Il viaggio continua attraverso la trasformazione (“Ero stato sposato, il mio matrimonio si è spezzato, ho vagato per un po’ di città in città, da lui a noi, da noi a tutti alla povere di stelle e ancora indietro”), all’amore divino che si rivolge a noi con la sua apparente contraddizione e mistero all’uomo (“Sono vendetta e perdono sono dovunque e da nessuna parte (…) Sono dentro di te e fuori di te ti guarderò morire e ti salverò, ti stringo e ho bisogno di te”).
Quel Dio che alla fine diventa “una presenza divina”. Il viaggio finisce in un abbraccio che tutto assume in sé.
Meraviglioso Nick Cave, cantore ora e sempre di “Una bellezza impossibile da definire Una bellezza impossibile da credere Una bellezza impossibile da sopportare”.