Nicola Catanese, caposcorta Borsellino salvo per una coincidenza

Sono trascorsi 30 anni dalla strage di via D’Amelio in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino, ed a ricordare oggi quei momenti è anche Nicola Catanese, oggi 59enne, da 36 anni in servizio. Ci sarebbe potuto essere anche lui tra i nomi delle vittime, ma il lancio di una monetina cambiò tutto, come una sorta di sliding doors. A ricordarlo è lo stesso capo scorta in una intervista al Corriere della Sera: “Uscì croce e chiedemmo il cambio ai colleghi del turno pomeridiano, che arrivarono a Villagrazia di Carini e ci sostituirono. Se invece fosse uscito testa avremmo riaccompagnato noi il giudice Borsellino in via D’Amelio, e il cambio lo avremmo fatto dove c’era l’autobomba. Che sarebbe successo? I colleghi arrivati prima avrebbero notato la macchina sospetta o, com’è più probabile, saremmo morti anche noi?”, si domanda oggi.



Essendo fuori Palermo, l’agente aveva due possibilità: attivare lo straordinario o spostare il turno al rientro in città. Si poteva anche chiedere il rimpiazzo all’ora prevista fuori comune e a portare a tale decisione fu una coincidenza, ovvero il compleanno della moglie, nata il 20 luglio e che viveva come lui a Messina. “Io tendevo ad accumulare i turni di riposo per avere qualche giorno in più quando tornavo a casa, e quella domenica avevo deciso di non rientrare”, ha ricordato il poliziotto. Avvisò l’allora fidanzata di non riuscire ad andare ma poi sentendola dispiaciuta decise di farle una sorpresa. E qui entrò in gioco la famosa monetina: “Tornai dai colleghi e dissi: io vorrei smontare, voi che dite? Eravamo in sei, il responso fu tre a tre. A quel punto potevo decidere io, ma per non scontentare nessuno scelsi di affidarmi alla monetina: testa restiamo, croce chiediamo il cambio”. Uscì croce e poco dopo a Villagrazia giunsero le due pattuglie con a bordo Agostino Catalano e Claudio Traina, insieme a Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Antonio Vullo. Tutti, tranne Vullo, saltarono in aria in via D’Amelio.



Nicola Catanese e le preoccupazioni di Borsellino prima della strage

Nicola Catanese, caposcorta di Paolo Borsellino, ha ricordato anche quale era lo stato d’animo del giudice pochi giorni prima della strage. “Da qualche giorno lo vedevo nervoso e più preoccupato del solito, così il lunedì precedente la strage gli chiesi se ci fosse qualcosa che non andava. Borsellino mi rispose “Sono dispiaciuto per voi”. Domandai perché e lui aggiunse: “Perché so che è arrivato l’esplosivo destinato a me, e mi dà angoscia pensare che possano colpire anche voi””. Come ampiamente noto, infatti, il magistrato era a conoscenza della sua fine ormai vicina ma tentò nell’ultimo periodo di allentare la pressione della scorta proprio per evitare che potessero colpire loro e i suoi familiari. Tutto però fu vano.



In realtà sia il caposcorta che i suoi colleghi conoscevano bene i rischi a cui andavano incontro ma decisero di continuare a proteggerlo. “Con la paura, certo, ma anche con la convinzione di fare una cosa giusta, tentando di farla nel miglior modo possibile. Anche perché il giudice si faceva volere bene, ci trattava sempre con grande rispetto e riguardo, non potevamo abbandonarlo”, ha aggiunto Catanese.

Nicola Catanese salvo grazie a sua moglie

In via D’Amelio Nicola Catanese era già stato altre volte prima della terribile strage e sin da subito il caposcorta notò le numerose auto parcheggiate, segnalando prontamente la situazione. Proprio grazie al mancato divieto di parcheggio i mafiosi riuscirono a parcheggiare la Fiat 126 carica di tritolo sebbene non si sia mai riusciti, in 30 anni di indagine, a stabilire quando di preciso fu piazzata lì. A differenza delle altre domeniche, quel 19 luglio Borsellino decise di non andare a trovare la madre dopo la messa del mattino ma nel pomeriggio.

Nel pomeriggio avvenne il famoso lancio della monetina che cambiò il destino dell’uomo. Dopo il rientro a Palermo l’agente salì sulla sua auto e partì in direzione Messina senza avvisare nessuno né sapere nulla della strage. Giunto a casa trovò la madre in lacrime: “Non capivo perché, e mio padre mi indicò il televisore con le immagini della strage; si sapeva che c’erano dei poliziotti morti e pensavano che io fossi tra loro. Rimasi a lungo immobile davanti alla tv, piansi anch’io. E a Sofia, la donna che poi diventò mia moglie dissi: “Sono vivo grazie a te”. Perché è andata proprio così”.