Sono passati circa due mesi da quando Nicola Mina, ragazzo 28enne di Comelico Superiore, in provincia di Belluno, si tolse la vita dopo essere stato accusato di razzismo. «Era un ragazzo molto diverso da come è stato raccontato sui quotidiani e sui social negli ultimi mesi. Di certo, non era animato da sentimenti di tipo razzista», spiegano oggi i famigliari del giovane, come riporta il quotidiano l Gazzettino. A pochi giorni dal processo che lo vedeva imputato per tentato omicidio verso un venditore ambulante, Nicola Mina non ha retto il peso e si è suicidato: non aveva paura di un’eventuale galera ne tanto meno dei giudici, ma temeva il giudizio dei social, i famosi leoni da tastiera o hater, che da quando è avvenuto il fatto l’hanno perseguitato.
«La risonanza mediatica e tutto l’odio social che gli è piovuto addosso – si legge nella lettera firmata dai genitori e dalla sorella – l’hanno portato a una sofferenza interiore ed esistenziale da cui non è riuscito più a liberarsi fino ad arrivare al pensiero che togliersi la vita sarebbe stata l’unica soluzione». Daniele Riponti, l’avvocato che avrebbe dovuto assistere il ragazzo durante il processo, parla di una famiglia «con il cuore spezzato», stravolti a seguito di quanto accaduto due mesi fa, e poi distrutti per via del suicidio del figlio. «Pur con un dolore atroce e ormai invincibile nel cuore – sottolinea Riponti – sentono il dovere morale di restituire a Nicola una verità diversa da quella emersa finora. Non vogliono creare contenziosi ma far capire che un singolo commento può distruggere la vita delle persone».
NICOLA MINA, I FATTI ACCADUTI AD AGOSTO 2020
E’ passato poco più di un anno dai fatti che hanno portato Nicola Mina a togliersi la vita: era l’agosto del 2020 quando, presso un bar di San Pietro di Cadore, si consumò una rissa fra il 28enne e un venditore ambulante di 47enne, originario del Senegal. Ad averne la peggio era stato proprio l’immigrato, ferito all’addome da un colpo di un coltellino, fortunatamente non risultata fatale. Da quel giorno il ragazzo è stato bollato dai social come “giovane razzista e violento”. «Anche se era un gigante, Nicola era estremamente sensibile – ricorda ancora Riponti – Aveva avuto un passato doloroso, era provato dalle esperienze della vita, ma di certo non era razzista. Nel processo ci sarebbero stati numerosi testi extracomunitari. Era una persona burbera ma se poteva dava una mano. La versione del razzista xenofobo che insegue persone di colore era lontana anni luce da lui».
I famigliari sperano che la sua storia possa essere da monito e da esempio per altri fatti simili che possano accadere in futuro: «Ci auspichiamo che questo tragico epilogo sia di monito per il futuro nella speranza che ci sia più umanità e rispetto per tutti coloro che possono aver sbagliato ma che non devono essere sottoposti a condanne mediatiche insensate che distruggono la loro anima e la loro vita come pure quella dei loro cari».