Fra le tracce proposte dal Ministero per la Prima Prova della Maturità 2024,  Tipologia B – testo argomentativo – anche “Riscoprire il silenzio” di Nicoletta Polla-Mattiot: ecco qui sotto la traccia svolta da Joseph Buysse per conto de ilSussidiario.net.

 

COMPRENSIONE E ANALISI – TRACCIA SVOLTA TIPOLOGIA B3 MATURITÀ 2024

Il brano di Nicoletta Polla-Mattiot si focalizza sul silenzio in relazione al suo ruolo all’interno della dimensione dialogica. In questo senso la scelta di “smettere di tacere” è direttamente connessa al “riconoscimento dell’altro”, in cui lo scambio conversazionale è descritto dall’autrice con la pregnante metafora di un “contrappunto di parole e silenzi”. Da ultimo si rivendica l’importanza fondamentale del silenzio come condizione dell’ascolto e possibilità di comprensione. Particolarmente significativa l’espressione “spazio mentale prima che acustico”, con la quale si pone l’accento sul silenzio come disposizione interiore nell’atteggiamento di chi parla, di modo che anche le pause del discorso possano essere “accoglienti” e “significanti”.



PRODUZIONE – TRACCIA SVOLTA PRIMA PROVA B3: POLLA MATTIOT E IL SILENZIO IN MATURITÀ

A pochi metri dalla Porta di Brandeburgo, a Berlino, si trova un luogo noto come “Raum der Stille”, “La stanza del silenzio”. Un piccolo ambiente dimesso, a-confessionale, dall’arredamento essenziale: poche sedie, tendaggi bianchi e spessi, luce diffusa. Il luogo, ad accesso gratuito, ha come intento dichiarato quello di fornire, a chiunque lo desideri, un momento di stasi e raccoglimento, di contro all’irrequieto brulichìo metropolitano. In tal modo il silenzio è reso luogo di possibilità.



Sono questi i primi ricordi che mi sovvengono nel leggere quanto ben scritto dall’autrice Nicoletta Polla-Mattiot, quando si riferisce al silenzio come “spazio mentale prima che acustico”. Nel centro di Berlino questo spazio ha trovato una sua estrinsecazione materiale. Ma cosa ci suggerisce tutto ciò? Se è nata l’esigenza di un concreto invito al silenzio, significa forse che esso è divenuto un grande assente della società contemporanea.

Ampia e diffusa – come è doveroso che sia – è la discussione intorno all’inquinamento dell’aria che da tempo affligge le nostre città. Tuttavia, la mia personale impressione è che assai di rado si considerino i danni e le criticità dell’inquinamento acustico, con il rischio che si arrivi ad un’inconsapevole normalizzazione del rumore come condizione usuale del vivere. Come possiamo giungere all’acquisizione del silenzio come “spazio mentale”, se di esso non riusciamo a fare esperienza diretta? Occorrerebbe porre il silenzio come pratica e ricerca quotidiana. Ad una rapida analisi mentale, mi rendo conto che ben pochi sono i momenti del giorno nei quali esperisco il silenzio come condizione al contempo mentale e materiale. Andrebbe invece ricordato che abituarsi al silenzio significa abituarsi all’ascolto, di se stessi e degli altri. La mancanza del silenzio come esperienza di vita può portare ad un’incapacità di applicazione del silenzio come condizione necessaria al dialogo. Quante volte, conversando, si ha la sensazione che l’altro non ci stia ascoltando, ma stia soltanto aspettando impaziente il proprio turno per parlare. In ciò mi trovo pienamente in accordo con Polla-Mattiot, che riflette su come il “silenzio voluto e deliberatamente scelto” possa portare ad “una parallela rivalutazione del linguaggio” e alla sua “rifondazione sul terreno della reciprocità”.



Consideriamo ora la componente del silenzio nell’esperienza artistica. I musicisti, così come i teatranti, ben sanno che i silenzi non sono tutti uguali. Può accadere anche a chi si trova nel pubblico, durante un concerto o una rappresentazione scenica, di avvertire che in sala si è venuta a creare una forma di silenzio del tutto peculiare, quintessenza dell’attenzione di chi ascolta.

Mi interessa concludere questo breve scritto ponendo l’accento su questo particolare aspetto: il silenzio come risonanza. Soltanto se siamo in grado di lasciare spazio a quanto ascoltiamo possiamo far sì che esso venga accolto e si sedimenti in noi. E questo è vero sia che si ascolti una sinfonia o un discorso, durante un’intervista così come in una conversazione tra amici. Davvero esistono, come scrive Polla-Mattiot, “pause significanti”, in grado di generare “attesa e riconoscimento”. Il silenzio è un pieno, non un vuoto. Di più: “il silenzio è cosa viva”, come recita il titolo di un’opera di Chandra Livia Candiani, voce lieve ma chiara del panorama letterario contemporaneo, il cui gesto poetico mi riconduce a quella stanza, nel cuore caotico di Berlino, dove ho sentito avverarsi le sue parole.