Prosegue il sentito racconto di Nicoletta Sanna a Le Ragazze su Raitre, dove ripercorre la sua vita e i momenti cruciali che l’hanno segnata. “Non scorderò mai la mia prima volta, alle ragazze augurerei di provare quello che ho provato io”, racconta Nicoletta Sanna. Un’infanzia comunque molto difficile per Nicoletta, che ben presto ha iniziato a coltivare la passione per l’infermieristica. E a Raitre spiega: “Io sono nata per fare l’infermiera. L’unica cosa brutta che ho passato nella mia vita è l’infanzia. Mi è mancata una coperta ed una carezza da parte di mia madre. Ecco io mi sono sempre comportata come avrei voluto che mia madre si fosse comportata con me”. (Agg.Jacopo D’Antuono)



Nicoletta Sanna: “Le suore ci picchiavano”

Nicoletta Sanna si racconta a Le Ragazze su Raitre. “Sono nata a Sassari nel 1947. I miei genitori si sono sposati quasi per un matrimonio combinato. Lui era un muratore, lei casalinga. Io sono la più piccola…”. L’infanzia di Nicoletta è stata molto complicata, con la perdita del papà quando era ancora piccolissima: “Mio padre è morto all’età di 43 anni. In quell’anno è andato in coma diabetico senza che nessuno potesse farci niente. Avevo solo due anni e mezzo, mia madre era completamente sola e senza alcun sostentamento. Una volta rimasta vedova chiese aiuto per poter lavorare, fu costretta a metterci negli istituti”. Proprio del periodo in orfanotrofio, Nicoletta conserva ricordi molto dolorosi: “Ero sola, con poche ragazze grandi. Queste ragazze mi accolsero come due sorelle più grandi. Aspettavo mia madre, speravo che ogni sera fosse quella buona ma non arrivava mai. La aspettavo alla sera e alla mattina, l’ho rivista dopo dieci giorni. Quando la vidi le corsi incontro coi pugni. Mi strinse tra le braccia: io volevo andare via da quel posto. Ho passato un’infanzia rubata in quell’istituto. Non ho imparato quasi niente, solo a difendermi..”. (Agg.Jacopo D’Antuono)



Il periodo in orfanotrofio per Nicoletta Sanna

Nicoletta Sanna, infermiera in pensione originaria di Sassari, è una delle protagoniste de Le ragazze, il programma di Gloria Guida in onda stasera alle 21.30 su Rai 3. La quarta puntata ospiterà anche il racconto della sua vita, trascorsa per buona parte in un orfanotrofio gestito da suore. Un’esperienza che – nel bene e nel male – ha forgiato il suo carattere. Ora, Nicoletta è un’anziana donna con alle spalle diversi traguardi. E se li ha raggiunti, tali traguardi, in parte lo deve anche a ciò che ha vissuto da quelle parti. La Sanna aveva tre anni, quando salutò la madre sulla soglia del Rifugio Bambin Gesù, lì a Sassari in viale Mameli. I suoi genitori non riuscivano più ad accudirla. “La giornata iniziava alle 6 del mattino”, ha raccontato in un’intervista a La nuova Sardegna: “Ci alzavamo con gli occhi cisposi, dovevamo aprirli con le dita. Dormivamo in grosse camerate senza riscaldamento: sento ancora nelle ossa il freddo delle lenzuola umide che non si scaldavano mai. Eravamo tutte malaticce, io presi l’epatite”.



Nicoletta Sanna e quell’infanzia difficile…

Durante l’infanzia, Nicoletta Sanna ha subito grosse privazioni. Ciò ha contribuito a inspessire la sua corteccia protettiva: “Quando le suore ci portavano fuori la domenica, per i funerali delle persone ricche, noi non alzavamo mai lo sguardo da terra e raccoglievamo le gomme che gli altri avevano prima masticato e poi sputato. Ce le passavamo di bocca in bocca, in modo che tutte potessero provare l’emozione di fare le bolle”. In orfanotrofio era facile “fare squadra”: “Quelle amicizie e quei legami te li porti dietro per sempre. Giocavamo con le carte fatte da noi, ci sfidavamo a palla prigioniera, con la corda, con l’hula hoop di ferro. Eravamo felici con poco”. Nicoletta lasciò il Rifugio a 16 anni e mezzo. Poco prima arrivò una suora che adorava le bambine: “Era comprensiva, affettuosa, e impose un sistema di educazione più amorevole“.

L’incontro con le vecchie compagne

In ogni caso, Nicoletta Sanna non nega di aver ricevuto tanto (lei come le altre bambine): “Abbiamo più grinta, siamo determinate, non ci perdiamo in un bicchiere d’acqua, abbiamo imparato l’arte di arrangiarsi, siamo solidali con gli altri e altruiste. Quell’infanzia non ci ha reso ciniche, anzi siamo sognatrici, perseguiamo con tenacia i progetti, sappiamo tenerci stretti gli affetti e sappiamo essere grati alla vita ogni qualvolta ci gratifica”. Da qui la sua vocazione professionale, quella di infermiera prima al Policlinico Umberto I di Roma e poi all’Ospedale Santissima Annunziata. Dopo la pensione, ha avuto modo di rincontrare le sue compagne dell’orfanotrofio: “È stato straordinario scoprire come quegli anni ci avevano forgiato nel profondo. Il passato di privazioni non ci ha ostacolato. Avevamo fame di giustizia e di sogni, e una volta fuori dal Rifugio, tutte abbiamo ricominciato a vivere”.