Nicolò Renna, chi è il velista in gara alle Olimpiadi di Parigi 2024
Tra i personaggi che tengono alta la bandiera italiana ai Giochi Olimpici di Parigi 2024 non possiamo non citare il velista, che gode di una passione per il windsurf che affonda radici molto profonde, in quanto il padre Vasco era un ex campione della disciplina ed è molto conosciuto per la sua celebre scuola sul Garda, che gestisce insieme ai due figli maggiori e alla moglie Gabriella. Nicolò Renna si è affacciato a questo sport quando aveva solamente sette anni, mettendo in mostra fin da subito il suo talento eccezionale, unito alla voglia di migliorarsi e sacrificarsi, per questo il classe 2001 sfrutta i mesi della pandemia per interrompere l’RS:X e per ambientarsi con l’iQFOiL, la nuova tavola a vela olimpica volante che fin da subito lo porta a grandi risultati.
In gara alle Olimpiadi di Parigi 2024, per Nicolò Renna si tratta della prima volta in una rassegna di questo calibro, pass ottenuto nel 2023 dopo essere salito sul tetto continentale e conquista il bronzo e la carta per i Giochi parigini, mentre a inizio anno si è laureato campione iridato a Lanzarote e dopo l’argento morso ai Giochi giovanili di Buenos Aires nel 2018 ora sogna l’affermazione a cinque cerchi anche tra i grandi nomi.
Nicolò Renna racconta: “Non mi sono mai sentito obbligato a salire sulla tavola”
Visti i suoi precedenti in famiglia verrebbe da pensare che il velista non abbia avuto poi così tanta scelta in passato se non quella di abbracciare il mondo del windsurf, ma non è andata esattamente così e ci ha pensato lo stesso Nicolò Renna in una intervista concessa a Gazzetta.it a spezzare le voci sul proprio conto: “Non mi sono mai sentito obbligato ad andare sulla tavola a vela ma certo la famiglia mi ha aiutato molto a farmi iniziare” ha assicurato l’atleta classe 2001.
Riguardo agli inizi Nicolò Renna ha ammesso: “Avevo circa 6 anni, papà mi metteva sul windsurf e io veleggiavo tranquillo sul lago, per sicurezza mi aveva scritto il suo numero di telefono sul salvagente così se da Torbole approdavo su un’altra sponda qualcuno lo poteva chiamare e lui mi veniva a recuperare con il gommone”.