La montagna-neve vittima del Cervillionaire, un po’ le code viste quasi un mese fa a Cervinia, un po’ l’effetto delle discoteche aperte lo scorso agosto in Sardegna. Con questi incubi ancora davanti agli occhi, il Governo sembra ben deciso ad annullare la prossima stagione bianca, che non vuol dire solo vietare discese ardite e risalite, ma anche il lavoro di migliaia di operatori, albergatori, ristoratori, commercianti e via dicendo che compongono la lunghissima filiera di un comparto che vale 10 miliardi per la sopravvivenza dei territori montani e per il nostro Pil. Con il rischio, ben concreto, di assistere alla transumanza degli sciatori italiani verso piste aperte e disponibili, tanto per fare un esempio quelle di Kranjska Gora, o Kanin, o Vogel, in Slovenia, o magari di Verbier, Crans Montana, Davos e Zermatt, in Svizzera, tutte località con gli impianti già in funzione, ma dove per ora non è consentito l’ingresso agli italiani (per Natale chissà: si accettano scommesse). Per non dire dell’Austria, in lockdown assoluto, ma in procinto di riaperture a tappeto, anche degli impianti di risalita, sulla base di screening allargati a tutta la popolazione. L’Italia sta cercando di arrivare a un protocollo condiviso di chiusure “a livello europeo”, è stato detto, ma gli Stati che sembrano ad oggi più interessati sono solo Francia e Germania.



Lo scenario è comunque ingabbiato dalle limitazioni degli spostamenti tra regioni, e anche se si dovesse arrivare ad averle tutte in fascia gialla o al limite arancione, come ha auspicato il Premier, non è detto che ci si potrà muovere a piacimento, o solo in determinate situazioni. Il protocollo elaborato per le riaperture degli impianti in sicurezza, quindi (presenze giornaliere limitate, skipass contingentati; prevendita online; capienza dimezzata in cabinovie e funivie; obbligo di mascherina, distanziamento di un metro), resta per ora sul tavolo di Cts e Governo, in attesa di essere definitivamente archiviato o di ritornare al vaglio se le condizioni sanitarie lo consentiranno. Ma è già evidente che se il via libera dovesse arrivare ben dopo le festività di Natale-fine anno nessun operatore potrà affrontare le consistenti spese di riapertura per un periodo limitato, e sempre incerto, di operatività. Il tutto strettamente legato, poi, alla situazione degli ospedali dei comprensori interessati, già oggi saturati da ricoveri Covid, e quindi indisponibili a trattare gli immancabili traumi che si registrano sulla neve.



“Lo sci non è movida” sostengono le associazioni di categoria: è vero, si scia da soli. Semmai può preoccupare l’after-sci, anche se si potrebbe regolamentare con tutte le disposizioni necessarie. “Siamo fortemente preoccupati per la linea rigorista adottata in queste ore dal Governo” sostengono la presidente di Federturismo Confindustria, Marina Lalli, e la presidente di Anef (l’associazione degli impiantisti a fune), Valeria Ghezzi. “Il fatturato del turismo invernale sfiora i dieci miliardi di euro, di cui un terzo delle entrate si realizza proprio nel periodo compreso tra l’Immacolata e l’Epifania. Comprendiamo la necessità di voler evitare di ripetere gli errori commessi l’estate scorsa – aggiunge Lalli – ma con il fermo degli impianti di risalita, purtroppo anche prevedendo un’apertura delle piste a metà gennaio, ormai l’intera stagione sarà inevitabilmente compromessa”. “Gli operatori del settore riconoscono, naturalmente, la gravità dell’emergenza in atto e l’attenzione primaria che deve essere rivolta alla salute degli italiani – sottolinea Ghezzi – ma chiediamo di essere ascoltati come categoria e di essere trattati come gli altri settori e cioè in base all’andamento del contagio. Non chiusi a priori. Un operaio degli impianti ha come obiettivo primario la sicurezza del trasporto, non il divertimento. Non identifichiamo lo sci quale attività sportiva con la movida perché è un gravissimo errore. Lo sci, come ogni altra attività che il governo intende riaprire si atterrà con scrupolo ai protocolli e alle regole di sicurezza. Come avvenuto Oltralpe, chiediamo al governo di confrontarsi con noi per capire la vera natura della nostra attività”.



Le aziende funiviarie presenti in Italia sono oltre 400, con 1.500 impianti di risalita (di diversa tipologia). Gli impianti sono serviti da circa 3.200 km di piste, che per il 72% sono dotate di innevamento programmato che richiede oltre 100 milioni di euro. All’inizio della stagione invernale le società degli impianti – si rileva nella nota – hanno sostenuto ormai il 70% dei propri costi per aprire in sicurezza. Il comparto montagna, nel solo arco alpino, offre lavoro a oltre 120mila persone (la maggior parte delle quali con contratti stagionali). La chiusura sarebbe drammatica per gli impianti e, a catena, tutte le attività/strutture collegate: hotel, rifugi, ristoranti, attività commerciali, maestri di sci, noleggi.