In Nigeria, nella regione settentrionale di Kano, dove vige la sharia, Omar Farouq, un ragazzo di 13 anni, avrebbe bestemmiato Allah di fronte a un amico ed è stato perciò condannato a dieci anni di prigione. L’applicazione letterale della legge islamica, infatti, consente di infliggere punizioni esemplari anche a un bambino: per la bestemmia non esistono limiti o precauzione d’età.
Come sia possibile tutto questo è spiegabile solo se si pensa a cosa sono certe zone della Nigeria del nord, come di tanti posti del mondo dove, in barba alla globalizzazione che avrebbe dovuto portare, secondo qualcuno, i lumi della civiltà occidentale, pratiche rozze e disumane, fondate sull’interpretazione oscurantista di una religione, continuano ad essere esercitate.
Per fortuna qualcosa si sta muovendo: Kola Alapinni, avvocato nigeriano attivista per la libertà religiosa nel suo paese, è diventato rappresentante legale di Farouq, lanciando allo stesso tempo l’allarme e diffondendo la notizia, giunta infine all’orecchio di Piotr Cywinski, direttore del memoriale del campo di concentramento di Auschwitz.
Questi ha scritto al presidente della repubblica nigeriana definendo la sentenza scandalosa per l’umanità: “Come direttore del Memorial di Auschwitz, dove bambini vennero imprigionati e assassinati…” così il tenore della lettera, che in definitiva associa una certa pratica della sharia alle leggi razziali naziste. Non solo, Cywinski è arrivato a offrire se stesso per scontare il carcere in cambio del bambino.
Pare che la lettera di una tale personalità abbia scosso il governo dello Stato africano e in molti, a cominciare da Alapinni, sperano con maggior fondatezza che qualcosa di positivo come la grazia possa accadere. Rimane la distanza sconvolgente, lo iato che sembra ancora incolmabile tra tante regioni della terra. Nessuna teoria etnicista, nessuna ideologia buonista sulla diversità delle culture potrà mai giustificare l’insensatezza violenta e l’arbitrio irrazionale, accadano essi ad Auschwitz o nel Kano.
E il gesto di Cywinski, nella sua nobiltà, ci dimostra che la civiltà è una dura conquista, fatta di lavoro e sacrificio personale, di memoria del passato e offerta di lavoro per un futuro perfettibile; una terra ideale sempre a rischio, ancora circondata dai lupi della barbarie.