Compie oggi quarant’anni un film horror dai caratteri curiosamente originali, che introdusse un personaggio di cattivo mostruoso parzialmente innovativo per il genere. Si tratta di Nightmare – Dal profondo della notte di Wes Craven, regista statunitense tra i migliori del cinema horror e thriller contemporanei, inventivo quanto basta per dare vita filmica – lunga e fortunata, visto i numerosi sequel, prequel e remake – a un personaggio relativamente nuovo rispetto alla tradizione del gotico tratto dalla letteratura anglosassone di fine Ottocento. Mixando con sagacia gli elementi base dei capostipiti letterari (il non-morto, la creatura mostruosa e la maschera del doppio bene/male) Craven ha infatti tirato fuori una caratterizzazione tra lo spaventoso e il clownesco per il suo Freddy Krueger, dai tratti inaspettatamente adatti all’epoca del cosiddetto “edonismo reaganiano”.



Il film si basa su un soggetto semplice quanto efficace. Il suddetto Freddy Krueger altri non è che un maniaco omicida il quale, morto bruciato a seguito di un linciaggio popolare (come accadde al primo Frankenstein hollywoodiano, quello di James Whale del 1931), torna negli incubi dei figli dei suoi carnefici per vendicarsi provocandone la morte. Per ammissione dello stesso autore, e di Robert Englund, l’attore che lo interpreta, la figura di Freddy fu disegnata rifacendo il verso – soprattutto – alle sembianze che l’istrionico Klaus Kinski diede al vampiro in Nosferatu – Il Principe della Notte, remake del classico di Murnau girato nel 1979 da Werner Herzog. Freddy ha il volto sfigurato dalle ustioni, porta un cappello nero e al posto delle mani ha guanti lerci con artigli da belva feroce. E proprio il suo guanto artigliato, che usa sfregare ovunque producendo un atroce spaventoso stridio, è l’ingrediente più azzeccato e inedito per il genere, in quanto rappresenta una sorta di archetipo delle paure radicate nella coscienza collettiva di molte culture, non soltanto primitive.



Se definiamo il genere horror cinematografico come quel racconto filmico che si sviluppa al confine tra due archetipi/classificazioni tipologiche dicotomiche (bene vs male e reale vs fantastico su tutte), allora il primo Nightmare lo rappresenta a pienissimo titolo. La messa in scena di Wes Craven riesce infatti a lavorare tra il fantastico degli incubi dei vari ragazzi e il reale dei loro risvegli angosciosi, creando così un’atmosfera di costante tensione paurosa, che permea tutto il film.

La scena iniziale di Nightmare, dove la ragazza che ha il primo incubo si risveglia con il pigiama lacerato dagli artigli di Krueger, incontrato in sogno, è una sorta di citazione – forse involontaria – del finale della celebre scena della piscina di Cat People (Jacques Tourneur, 1942), quando la protagonista femminile, vittima della donna che si trasforma in pantera (cui ella sta per rubare il marito), dopo aver sentito i sinistri ruggiti di una belva, esce dalla piscina e ritrova il proprio accappatoio fatto a brandelli.



Anche in questi particolari sta la qualità scenica del film di Craven, che abilmente mescola elementi di tensione vecchi e nuovi, tutti volti al fine ultimo del film (costruire una disturbante storia di terrore). La semplicità di base della vicenda consente al regista di lavorare con pieni mezzi su tali elementi. La zona grigia dove l’horror lavora è quella in cui accadono le cose insolite e sconosciute, stranianti e perturbanti fonti di paura, angoscia e terrore, motori narrativi della storia. In particolare in Nightmare il confine su cui Craven insiste è quello tra realistico e fantastico: i salti temporali, apparentemente illogici, ricadono invero con forza in tale prospettiva. Abile da parte del regista averli inseriti funzionali al fine orrorifico, tensivo e onirico del film.

L’idea e la prima sceneggiatura di Nightmare risalgono al 1981, quando Craven invano ha cercato un produttore disposto a scommettere sul progetto. Realizzato circa tre anni dopo, con budget inferiore alle richieste iniziali dell’autore, il film pare aver beneficiato di tali limitazioni, inducendo – come spessissimo è accaduto nella storia del cinema – il regista e i suoi principali collaboratori ad aguzzare l’ingegno, trovando così soluzioni di messa in scena più semplici tecnicamente (cioè meno costose). ma proprio per questo più forti dal punto di vista dello stile e della resa espressiva.

Nightmare risulta allora, in ultima analisi, uno dei più potenti e originali film degli anni Ottanta, non solo tra gli horror e i thriller dell’epoca, che ha contribuito a ridefinire, in senso stilistico/espressivo, lo standard di messa in scena dell’incubo cinematografico. In costante bilico tra il fiabesco e il surreale, esso inquieta e affascina al tempo stesso, come vuole la migliore tradizione del cinema horror classico.

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