Il risveglio oggi è amaro: Niki Lauda è morto. Troppo facile descriverlo come uno dei migliori piloti della storia della Formula 1, ma la straordinarietà del personaggio sta anche nell’aver conquistato tutti nonostante un carattere poco emotivo. Se ne è andato uno dei piloti più amati, lui che era più efficace che divertente. E lo ha fatto con un rimpianto: non aver corso in quest’epoca. «Avrei guadagnato molti più soldi e avrei ancora le orecchie», spiegò lui con invidiabile ironia. Il riferimento era al terribile incidente del 1976 al Nurburgring, che lo lasciò sfigurato e con ustioni di terzo grado su tutto il corpo. Dieci parole che riescono a descrivere un uomo che aveva una straordinaria capacità di sintesi, nella vita e alla guida. Come per chi scrive, a chi era troppo giovane sarebbe piaciuto vedere all’opera Niki Lauda, ma la Formula 1 “moderna”, come qualcuno preferisce chiamarla, non sarebbe tale se non avesse scritto la storia, la sua storia, nel decennio in cui ha corso (per la precisione dal 1971 al 1985).

NIKI LAUDA, È MORTO L’UNICO “ROBOT” UMANO

Quella era una Formula 1 in cui un “Robot” come lui riusciva a scovare i difetti della sua monoposto, anche quelli inafferrabili ai più, perché aveva una meticolosità che nessun pilota oggi ha. Oggi dunque ci si sveglia scoprendo che quel “Robot” era davvero umano. Sopravvissuto alle fiamme scoppiate in quel terribile incidente, a due trapianti di reni e uno al polmone, ci deve essere sembrato quasi immortale. Un eroe come lui doveva esserlo. E invece se ne è andato come un uomo, ma a campione. Nessuno può sfuggire alla morte, ma lui è riuscito a prendersi gioco di quel destino che lo voleva morto nel 1976 nel Gran Premio di Germania. No, non poteva essere quello l’epilogo giusto alla sua incredibile storia. Lo è lasciare questo mondo con la famiglia al proprio fianco, dopo aver vissuto due vite, la seconda dopo quel terribile primo agosto di 43 anni fa. E dopo aver capito cosa è la felicità. «L’infelicità prospera dove mancano le passioni», diceva Niki Lauda. E lui ne aveva una grande, immensa, che lo ha ripagato di successi straordinari.

MOLTO PIÙ DI UNA LEGGENDA DELLA FORMULA 1

L’eredità che oggi Niki Lauda ci lascia non riguarda però solo la Formula 1. È una lezione di vita: sta nella forza spaventosa che tirò fuori da quell’incidente. Era spacciato, invece 42 giorni dopo era già in pista. Quelle piaghe e le ustioni non potevano fermare la sua voglia di vincere. E la tristezza con cui oggi si parla della sua morte è direttamente proporzionale alla sua personalità, quella con cui ha cambiato la Formula 1 vincendo tutti prima della rivoluzione tecnologica. Una personalità fatta anche di schiettezza che era facile scambiare con cinismo. Lo era, cinico, ma Niki Lauda era molto altro. Esprimeva concetti chiari, era tagliente come un rasoio, ma era anche diretto e simpatico. Scherzava anche sui “tagliandi” in ospedale. Probabilmente è riuscito a sfuggire al suo destino grazie all’arma dell’imprevedibilità. Niki Lauda non faceva programmi, se non a breve. Decideva al momento. «È un modo per sentirmi libero e ritagliarmi un grande spazio mentale». Ora sei davvero libero.