Nino Frassica si racconta ripercorrendo la sua carriera tra cinepanettoni, serie e miniserie. “Se mi pento di quello che ho fatto? Di parecchi, a distanza di tempo – ammette nell’intervista concessa a La Stampa – Ma ciascuno al momento aveva un suo perché. In genere economico”. E confessa che “più un film era brutto e più mi facevo pagare. Per un film che bello bello, sono disposto a lavorare gratis: sono le soddisfazioni che ti ripagheranno”. Nino Frassica regala anche un’importante lezione di vita: “tra le categorie del cinema: il brutto con tanti soldi, si può fare; il brutto con pochi, no di sicuro. I miei colleghi che negano questo paradigma, o mentono o si mangiano le mani. E poi, anche se li faccio, che male c’è? Anche i film brutti hanno i loro estimatori. La mia carriera ne potrebbe essere danneggiata? E chi non fa errori?”.
Nino Frassica, 72 anni, riflette con ironia anche sul tempo che è trascorso: “quando ho compiuto i 70, ho detto che non me li sentivo, e molto mi seccava che me li ricordassero. Ora, due anni dopo, non mi riesce proprio di capirli ‘sti anni che passano”. Scherzando, riconosce che “mi sento rimasto a 35 e 4 mesi, quelli che avevo ai tempi di Quelli della notte. Una stagione inarrivabile”. E si perde nei ricordi, parlando di come “Arbore ha rivoluzionato radio e tv e aperto la strada a tanti, creando un genere. Molti si sono mossi nella sua scia: Mai dire gol è figlia dell’Altra domenica, la Gialappa, Bisio e Teocoli di Arbore, Benigni e Marenco”.
Nino Frassica, “a Totò devo il comico che sono. Cerco sempre di strappare una risata”
A causa del covid contratto a Natale, Nino Frassica non potrà prendere parte al Capodanno al fianco di Amadeus, come ammette lui stesso a La Stampa. Parlando di se stesso come comico, riconosce che “Totò è il faro di tutti i comici. Tutti ne siamo innamorati. Non sarei il comico che sono se non lo avessi studiato fin da ragazzo”. Ma anche la sua famiglia ha avuto un ruolo fondamentale nel renderlo la persona che è adesso: “tutti hanno questo dono in casa: spiccato senso dell’umorismo e visione ironica delle cose. Mio padre, gli zii, mio fratello. L’unica differenza è che, mentre per loro era un optional e si sono accontentati di quel palcoscenico che è il bar del paese, io da lì sono partito per andare a studiare le radici della comicità lontano da casa”.
Intervistato da La Stampa, svela che come scrittore “non mi pongo il problema di quale messaggio trasmetterò alla nazione. Il mio obiettivo è solo strappare la risata”. E parlando della novità di Don Matteo, cioè la presenza di Raul Bova al posto di Terence Hill, confessa che “il pubblico ha assorbito bene il terremoto del cambio con Bova. Io un po’ meno: dopo tanti anni Terence Hill è diventato qualcosa di più di un semplice compagno di lavoro. Ne sentirò la mancanza”.