I terroristi italiani da tempo rifugiati in Francia, contrariamente a quanto era sembrato possibile qualche anno fa, non saranno più estradati in Italia. A Parigi, la Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi per l’estradizione presentati dal procuratore generale.
I motivi addotti dai giudici della Corte d’Appello che nel passato avevano già rigettato queste stesse richieste sono stati ritenuti sufficienti. La Cassazione ha concluso che “il parere sfavorevole alle richieste di estradizione è, in considerazione di ciò, definitivo”. Il tempo non è galantuomo, non regola i conti, ma sancisce il diritto a non più intervenire. I conti non sono più “regolabili”, è tempo di smettere di parlarne.
Così, dopo aver civettato e in qualche caso sposato, anche se con mille distinguo, le tesi estreme sulla cattiva giustizia italiana, la buona e colta magistratura francese, dopo avere accolto i giovani militanti ingiustamente perseguitati, decide di archiviare il tutto, per sempre.
In pratica, coloro che, negli “anni di piombo”, hanno fatto ricorso alla “giusta violenza di classe”, arrivando ad uccidere poliziotti e magistrati, commercianti e guardie carcerarie, non sono materialmente punibili e restano dove sono, cioè nella “douce France”, dal momento che, a dire dei francesi, hanno “rinnegato il loro passato”.
“Giustizia è fatta, nella calma e nel diritto”, afferma la difesa degli imputati. Il riferimento alla “calma” è tanto rivelatore quanto fuorviante. Infatti più che di “calma”, in un paese come la Francia che, mai come in queste ultime settimane, sembra far riemergere i fantasmi dello scontro sociale, sarebbe opportuno parlare di indifferenza, di franco disinteresse dinanzi a ben altre emergenze.
La resa dei conti del suo sistema di protezione sociale dinanzi alla curva demografica ne rende oramai impraticabile l’attuale sistema pensionistico. Ai dossier sui “territori perduti della repubblica”, l’islamizzazione delle periferie e la crescente insicurezza sociale si aggiunge adesso quello della riduzione degli anni lavorativi per accedere alla pensione. Quella nella quale, allo scoccare dei 62 anni, ogni mutamento di vita sembrava possibile.
In un tale contesto ciò che resta dei terribili anni del terrorismo italiano sembra perdersi nella nebbia. Una società invasa dal presente e spaventata dal futuro non si gira a guardare il passato, specialmente quando questo è il passato di pochi e riguarda gli altri.
Sviluppatisi in un altro Paese, fuori dai propri confini, connotando un’epoca che la Francia non ha minimamente conosciuto, gli “anni di piombo”, i deliri della lotta armata e delle P38 che hanno portato l’Italia nell’abisso, non hanno riguardato minimamente i boulevard di Parigi, né quelli di ogni altra città francese. E persino le vetrine rotte e le auto incendiate che attualmente li infiammano non sono nulla rispetto ai mostri dell’orrore che l’Italia ha conosciuto nei sempre incombenti anni settanta.
Non siamo dinanzi ad un perdono, né ad una riabilitazione. Più semplicemente siamo di fronte ad un abbandono dettato da nuove emergenze, a un non voler riaprire dossier vecchi di quasi cinquant’anni, ad una volontà di oblio, ad una consapevole archiviazione di atti criminali che non sembra più possibile ricondurre a ciò che sono realmente stati: altrettanti casi di “omicidio volontario”.
Ma è proprio questo che non ci possiamo permettere. I nuovi creduli sono pronti a nuove imprese e sulle rive della Senna non mancano i rappresentanti della “sinistra al caviale” sempre pronta a dichiarare l’illegittimità delle azioni della nostra magistratura. Già rea di condannare in contumacia i responsabili dell’orrore, questa è di nuovo sotto l’occhio del ciclone a Bruxelles a causa di quel 41 bis che è stato decisivo nel combattere la mafia.
Così, mentre si preparano nuove accuse verso il nostro sistema penale, l’implacabile macchina ideologica che ha portato dei creduli irresponsabili a uccidere e degli innocenti a cadere resta una “parentesi dello spirito”. Al delirio terrorista ha fatto seguito un “non luogo a procedere” della memoria. Quanti se ne sono resi responsabili non ne hanno più nemmeno il ricordo; solamente i parenti delle vittime sono condannati a convivere con delle condanne a morte senza appello e a esecuzione immediata.
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