Il ministro dell’Economia tedesco si è detto contrario a un tetto al prezzo del gas perché “alcuni Paesi sono ancora dipendenti dal gas russo”. Il ministro degli Esteri ungherese si è opposto perché un tetto al prezzo “non sarebbe altro che un’altra sanzione”. E altri membri dell’Unione hanno espresso le stesse perplessità.
Il contesto in cui avvengono le discussioni è quello descritto in questi termini giovedì dal primo ministro belga, De Croo: “qualche altra settimana così e l’economia europea si fermerà del tutto”. E ancora: il rischio “è la deindustrializzazione e un rischio concreto di gravi disordini sociali”. Infine, se un Paese europeo entra in una situazione di blackout sarebbe un “gigantesco problema per tutti noi”.
Il problema probabilmente risiede nella risposta di Mosca all’introduzione di un limite al prezzo, perché la scorsa settimana Medvedev ha dichiarato che l’imposizione di un tetto al gas russo determinerebbe la fine delle forniture. Più in generale altri fornitori potrebbero rifiutarsi di consegnare gas a prezzi inferiori a quelli di mercato. Il nodo della discussione quindi è quanto possa impattare sulla disponibilità di gas in Europa l’imposizione di un limite di prezzo.
L’Europa, probabilmente, vive della convinzione di essere ancora l’unica regione industrializzata e l’unico compratore di gas. Le forniture energetiche non avvengono solo sulla base del prezzo, ma anche sulla disponibilità di sottoscrivere contratti a lungo o lunghissimo termine, rapporti diplomatici e scambi commerciali che includono forniture strategiche come armamenti e non solo. Si può anche imporre un prezzo del gas e poi ritrovarsi con una domanda cronicamente superiore all’offerta e quindi con blackout diffusi.
L’esplosione del prezzo del gas a settembre è stata causata dai forsennati acquisti tedeschi, perché il bilancio di Berlino può sopportare, almeno per un certo periodo, di sussidiare parte del sistema. In questo modo la Germania ha privilegiato la disponibilità rispetto al prezzo, mettendo in conto di coprire i problemi con soldi pubblici. È la prova che un limite al prezzo solleva questioni di disponibilità, altrimenti Berlino avrebbe lavorato per ottenere l’introduzione di un limite, per poi riempire gli stoccaggi a un prezzo più basso. Perché Berlino non ha aspettato e oggi si oppone all’introduzione di un tetto? Evidentemente c’è qualche controindicazione rispetto alla narrazione con cui si è presentato il tetto europeo.
Per inquadrare la questione bisogna tornare alle dichiarazioni del primo ministro belga, altrimenti non si capisce. Il rischio concreto di “gravi disordini sociali” dà la misura di quale sia lo stress a cui è sottoposto il sistema e di quali siano gli incentivi che i paesi membri hanno per evitarli. Se ha ragione De Croo, chiunque possa evitare questi disordini, perché ha accesso a forniture sufficienti con costi sotto controllo o sussidiabili dallo Stato, farà di tutto per svincolarsi da soluzioni europee che invece rischiano di produrli. L’“unità dell’Europa” è sacrificabile in questo quadro e ciò spiega le difficoltà a trovare una risposta comune.
La produzione nazionale italiana di gas, intanto, è ferma al palo tra norme punitive e regole surreali come quelle che impediscono le trivellazioni a terra d’estate per non causare troppo rumore quando le finestre sono aperte. Il minimo che ci si possa aspettare è che la “speculazione” finanziaria faccia il suo mestiere e testi la capacità di resistenza delle economie e delle società europee.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.