La lettera di papa Francesco al Corriere della Sera si pone nel momento presente caratterizzato dalla guerra in Ucraina che a suo tempo è stata scatenata dall’invasione decisa dal Governo russo pensando di risolvere una conflittualità insorta dopo gli Accordi di Minsk nel 2014 e che ora alcuni Governi europei non vorrebbero far finire dettando condizioni unilaterali a chi questa guerra la sta vincendo sul campo. Il momento presente è inoltre caratterizzato dalla tragica ripresa della guerra a Gaza dopo il mancato accordo tra Governo israeliano e Hamas.
Lo sguardo di papa Francesco va compreso adeguatamente perché offre una lettura totalmente alternativa rispetto ai contendenti in campo che condizionano le rispettive opinioni pubbliche. A papa Francesco dal letto dell’ospedale, ovvero da una situazione di fragilità non manipolabile che costituisce la struttura di ciascun uomo, la guerra appare ancora più assurda. Riconoscere la propria fragilità, infatti, cambia il modo di giudicare, cambia il giudizio di valore, facendo percepire “ciò che dura e ciò che passa”, “ciò che fa vivere e ciò che uccide”, mentre il nazionalismo e il suo latente o conclamato imperialismo conseguente, non accettando questo dato strutturale della fragilità umana, si rifugia in una risposta parziale, talmente inadeguata che nella storia, oltre a non durare, produce violenza e morte.
Negare questa fragilità e rifiutare una relazione con chi questa fragilità la vive drammaticamente elimina la possibilità di diventarne ciascuno consapevole; infatti, tale coinvolgimento richiama anche la nostra fragilità aiutando ciascuno a “mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità”. Riconoscere questa fragilità mette al centro del desiderio umano la ricerca di chi può colmare questa fragilità, di uno sguardo che vive una compassione come testimonia concretamente papa Francesco guardando tutti i popoli martoriati dalle guerre.
Già da queste affermazioni si comprende tutto il magistero del Papa e il fondamento culturale dei suoi giudizi sul tempo presente. Proseguendo il Papa richiama il tema della responsabilità personale sottolineando “l’importanza delle parole” che sono “fatti che costruiscono gli ambienti umani”, che possono “collegare o dividere, servire la verità o servirsene”.
Da qui il richiamo a un senso di responsabilità di tutti, disarmando le parole per contribuire a disarmare la Terra, superando reattività e approssimazione, rilanciando pacatezza e riflessione che deve fare i conti con un’oggettiva complessità. Papa Francesco ribadisce inoltre, con maggiore certezza, che la “guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente senza offrire soluzioni ai conflitti”.
La guerra, a differenza di quello che stanno affermando in questo momento anche vari leader europei, non porta la pace e non risolve i conflitti che le hanno fatto nascere provocando violenze e distruzione anche per le generazioni che verranno. Per questo papa Francesco non si stanca di riproporre la strada della diplomazia, del dialogo, della ricerca dell’accordo possibile sollecitando un ruolo attivo delle Organizzazioni internazionali e delle varie religioni che possono far emergere il senso religioso, il desiderio di pace e fratellanza presente nel cuore dell’uomo.
Ciascuno oggi è chiamato a prendere posizione, se sposare la linea “della guerra necessaria” per difendersi dal potenziale aggressore oppure quella del Papa che rilancia dialogo e diplomazia sino all’accordo raggiungibile.
Ultimamente è un problema di ragione e di identità culturale a cui si appartiene. La strada proposta dal Papa salva la ragione e salva la vera identità europea greca e cristiana fondante il valore dell’io e della Comunità, salva una coscienza di sé capace di costruire bene per tutti che ricerca costantemente dialogo e mediazioni. La riduzione del desiderio dell’uomo alla consistenza offerta dai vari nazionalismi/sovranismi ha già ampiamente documentato nella storia le immani tragedie che provoca.
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