Per approfondire il tema, questa volta dal punto di vista giuridico, delle problematiche che restano aperte nel nostro ordinamento a proposito della maternità surrogata, di cui tanto si parla come presupposto per la trascrizione nel nostro Paese di un atto di nascita redatto all’estero in Paesi ove è legale far ricorso a tale tecnica riproduttiva, può essere utile ricordare la recente sentenza della Corte di Cassazione italiana n. 3862 del 30 dicembre 2022.
Tale sentenza ha dato luogo a diversi ed opposti commenti, essendo da taluni invocata a sostegno della contrarietà alla pratica e da altri, invece, richiamata come elemento a favore della tecnica stessa.
Il caso – simile a molti altri che sono successi negli scorsi anni – riguardava un cosiddetto progetto procreativo condiviso, vale a dire il progetto di due persone legate da un rapporto omoaffettivo che, recatisi nel 2015 in Canada per avere un figlio con la tecnica della surrogazione di maternità, avevano ottenuto alla nascita un certificato di nascita con l’indicazione del solo padre biologico, che aveva dato lo sperma per l’inseminazione. I due, poi, a seguito di una sentenza di un tribunale canadese, avevano ottenuto la correzione dell’atto stesso inserendo la denominazione dell’altro genitore, denominato genitore d’intenzione (o genitore intenzionale). Quanto all’elemento femminile necessario alla procreazione, una donna aveva donato l’ovulo e un’altra donna aveva portato avanti la gravidanza e dato alla luce il bambino.
Lo stesso tribunale canadese che aveva ordinato l’integrazione dell’atto di nascita con il nome del genitore intenzionale aveva richiesto all’ufficiale di stato civile di correggere il primitivo atto di nascita trascritto procedendo alla stessa integrazione. Tale richiesta era stata respinta, sia perché esisteva già un atto di nascita, sia per l’assenza di dati normativi certi e di precedenti favorevoli da parte della giurisprudenza di legittimità.
Un nuovo ricorso, proposto per diversi motivi, ma soprattutto sostenendo che la richiesta di integrazione non appariva contraria all’ordine pubblico italiano, aveva visto l’opposizione sia dell’Avvocatura dello Stato a nome del Comune di Verona, sia della Procura, secondo i quali – invece – tale richiesta era appunto contraria all’ordine pubblico italiano. Contro tali prese di posizione, la Corte d’appello di Venezia aveva ritenuto legittima la richiesta anche a motivo dell’esistenza, in Italia, della possibilità che un minore abbia due genitori dello stesso sesso a seguito del cambiamento di sesso di uno dei due.
Quanto alla illegittimità della pratica della maternità surrogata, la Corte d’appello aveva asserito che la relativa sanzione non poteva considerarsi l’esito di un principio fondante a livello costituzionale che impegni l’ordine pubblico, bensì una semplice scelta discrezionale del legislatore italiano. Inoltre, sempre secondo la Corte di appello, la sanzione non colpisce certo il minore, che non può essere legittimamente privato del suo status acquisito nel Paese in cui è nato e il cui interesse (il best interest of the child) è da tutelarsi anche nel nostro Paese.
Contro la sentenza della Corte d’appello è stato proposto ricorso in Cassazione; sia per difetto di legittimazione del padre intenzionale a rappresentare l’interesse del minore, sia perché non esiste in Italia una norma che legittima una piena bigenitorialità omosessuale, sia perché l’ordinamento italiano considera un principio fondamentale dell’ordine pubblico la nozione di filiazione “intesa quale discendenza da persone di sesso diverso, come disciplinata dalle norme in materia di fecondazione assistita, anche eterologa, nonché con il divieto di maternità surrogata, fattispecie costituente reato secondo la legge italiana”.
Nel ricostruire la giurisprudenza relativa al caso, la Corte di Cassazione ha ricordato sia una precedente sentenza delle Sezioni Unite della Corte stessa (la sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, in cui si riconosceva al divieto di maternità surrogata la natura di principio di ordine pubblico in quanto posto a tutela sia della dignità della gestante sia dell’istituto dell’adozione) sia un parere della Corte europea dei diritti dell’uomo sempre del 2019 secondo cui gli Stati, se intendono mantenere il divieto di maternità surrogata, devono comunque creare “strumenti giuridici diversi ma egualmente garantistici nei confronti del bambino, quale è stata ritenuta l’adozione da parte del genitore d’intenzione”. Proposta sul tema anche una eccezione di incostituzionalità alla Corte Costituzionale italiana, essa aveva dichiarato la questione inammissibile.
In forza di questi precedenti, la sentenza in esame si esprime secondo una duplice linea argomentativa. Se da un lato essa ribadisce che il divieto di maternità surrogata è parte di quei principi che incarnano la nozione di ordine pubblico, dall’altro afferma che esistono “istanze di genitorialità non comprimibili” che portano le coppie, “quando supportate da adeguata capacità economica”, a recarsi all’estero per soddisfarle. E, in questo caso, “la questione dello status del nato da maternità surrogata … si traduce nel problema del riconoscimento in Italia della genitorialità acquisita al di fuori dei confini nazionali in virtù di norme più liberali di quelle italiane”.
Il problema così posto ha una sua intrinseca problematicità, anche a motivo del fatto che le norme italiane di divieto non sanciscono nulla nei riguardi di un figlio nato in violazione del medesimo. La Corte mostra in proposito una particolare attenzione per la situazione che si viene a creare in capo sia alla gestante sia al figlio. Quanto alla prima, è interessante ricordare le parole stesse della Corte: “Nella gestazione per altri non ci sono soltanto i desideri di genitorialità, le aspirazioni e i progetti della coppia committente. Ci sono persone concrete. Ci sono donne usate come strumento per funzioni riproduttive, con i loro diritti inalienabili annullati o sospesi dentro procedure contrattuali”. Quanto ai figli, “ci sono bambini esposti a una pratica che determina incertezze sul loro status e, quindi, sulla loro identità nella società”.
E, tuttavia, “una volta che il bambino è nato, sussiste l’esigenza di proteggere il diritto fondamentale del minore alla continuità del rapporto affettivo con entrambi i soggetti che hanno condiviso la decisione di farlo venire al mondo, senza che vi osti la modalità procreativa. Il bambino avrebbe certamente il diritto di essere allevato dalla madre che lo ha partorito; ma è constatazione diffusa che la donna che porta una gravidanza solo per adempiere un obbligo contrattuale assunto verso i committenti spesso non ha alcuna reale intenzione di svolgere la funzione materna. Potrebbe sempre cambiare idea, e proprio per disincentivare ciò è prassi comune che l’embrione sia formato con l’ovocita di un’altra donna. Ma se non ci ripensa, non è nell’interesse del nato far valere nei confronti della madre gestante il suddetto diritto per ottenerne una qualche esecuzione specifica. Questo spiega perché l’interesse del minore che vive e cresce in una determinata comunità di affetti con entrambi i committenti può essere quello del riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico di tale legame”.
La sentenza, particolarmente lunga e complessa, è molto attenta a stigmatizzare la pratica della maternità surrogata, stigma che viene più volte ribadito, anche in rapporto alle regole presenti in altri Stati. E, tuttavia, essa finisce per accogliere l’idea che l’adozione in casi particolari – con svariati correttivi, tra cui quelli derivanti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 79 del 2022 – sia un rimedio che, in attesa dell’intervento del Parlamento, possa essere in favore dei diritti del minore e chiede al giudice di valutare attentamente, caso per caso, prima di ordinare la trascrizione dei provvedimenti stranieri, il contesto di coppia entro cui il bambino sarebbe inserito, cercando in tutte le forme possibili di garantire l’interesse del minore.
Si tratta di una scelta che appare davvero mossa dal desiderio di trovare un rimedio a situazioni particolari e particolarmente delicate, con un severo richiamo ai giudici ad agire in modo attento e circostanziato, mentre si auspica che il Parlamento agisca e crei delle norme capaci, muovendosi su un crinale molto stretto, di offrire un rimedio ai minori e alle loro esigenze affettive pur in permanenza del più severo scoraggiamento alla pratica della maternità surrogata.
È su queste basi che una discussione in materia può avere luogo, senza la pretesa di sacrificare un valore all’altro, e attenendosi alla più stretta ragionevolezza.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI