Il rifiuto di gradimento da parte dell’Italia all’ambasciatore designato dal Governo israeliano per Roma è un fatto senza precedenti. È maturato d’altronde in un contesto molto complesso, sia sul versante geopolitico che politico interno.
Nel curriculum di Benny Kashriel, indicato dal governo guidato da Netanyahu, spiccava l’incarico di sindaco di un insediamento di coloni a est di Gerusalemme, nei Territori palestinesi. Il nome – irritualmente pubblicato dal ministero degli Esteri israeliano prima del gradimento dell’Italia – si presentava quindi molto divisivo (anche per la confinante Santa Sede) sullo sfondo della “guerra di Gaza”. Non a caso le indiscrezioni citano non solo la condivisione del “no” fra Quirinale, Palazzo Chigi e Farnesina, ma anche le perplessità da tempo manifestate dall’UCEI, pur non essendosi le comunità ebraiche italiane mai espresse in modo critico sulle politiche di Israele né prima né dopo il 7 ottobre.
Lo sviluppo diplomatico si è comunque concretizzato poco dopo la visita a Washington della premier Giorgia Meloni, presidente di turno del G7. E l’incontro fra Meloni e il presidente Joe Biden ha avuto luogo poco dopo che gli USA hanno deciso sanzioni (senza precedenti) verso quattro leader del movimento dei “settlers” israeliti: quello che – secondo alcuni membri del Governo Netanyahu (sostenuto da forze sovraniste a sfondo religioso) potrebbe ora “ri-colonizzare” la Striscia sgomberata di due milioni di palestinesi con l’“operazione militare speciale” in corso.
L’altra sera, in un Discorso sullo Stato dell’Unione particolarmente energico, Biden ha però ribadito che gli USA sostengono come opzione unica la creazione di uno Stato palestinese fra Gaza e Cisgiordania (annunciando nel contempo la creazione di un porto artificiale al largo di Gaza, come nel 1944 nella Manica per appoggiare lo sbarco in Normandia e la liberazione dell’Europa dal nazismo). E la pronuncia – nella cornice secolare del rendiconto istituzionale annuale della Casa Bianca di fronte al Congresso – costituisce una sconfessione netta degli “Accordi di Abramo” concessi unilateralmente quattro anni fa da Donald Trump a Netanyahu. Se all’inizio della campagna presidenziale 2020 Casa Bianca e Gerusalemme concordarono nei fatti una prospettiva di annessione “coloniale” dei Territori, Biden è tornato con decisione allo “spirito di Oslo”. Questo a marcare l’avvio geopolitico della campagna presidenziale 2024, assieme alla riconferma dell’appoggio all’Ucraina contro la Russia.
A spingere così “in avanti” il presidente ricandidato dopo tre mesi di pressioni su Netanyahu per un cessate il fuoco a Gaza sono stati anche fattori interni. I risultati dell’ultimo “Super-martedì” di primarie per la Casa Bianca hanno confermato da un lato la forza della ri-candidatura repubblicana di Trump, sostenuta fra l’altro (come nel 2016 e nel 2020) dalla maggioranza più o meno silenziosa della comunità ebraica statunitense, negli ultimi anni molto più vicina al sionismo della maggioranza di governo di Gerusalemme che alla tradizione “lib-dem” dei media e della università delle due coste.
Dall’altro lato, le primarie in due Stati non periferici come Michigan e Minnesota hanno visto crescere nell’elettorato “dem” il movimento “Uncommitted”: le “schede bianche” depositate nelle urne della primarie dalle minoranze arabe, ormai in collera per le decine di migliaia di morti a Gaza. Ce n’è stato abbastanza perché Biden rompesse gli indugi, e – presumibilmente – li trasmettesse anche ai leader del Paesi alleati.
Fra questi l’Italia è forse oggi il più schierato nell’Unione Europea, dove invece la Germania appare paralizzata e disorientata (soprattutto sul fronte ucraino) e la Francia si segnala per i classici rigurgiti di autonomia geopolitica (ultimo l’accordo militare diretto fra Parigi e la Moldavia). Respingendo l’ambasciatore designato da Netanyahu (ora probabilmente dirottato sull’Ungheria di Victor Orbán), l’Italia di Meloni – e di Sergio Mattarella – ha invece ribadito un totale allineamento “occidentale” con gli USA, leader della NATO. E questo sembra autorizzare riflessioni evolute anche su recenti passaggi di politica interna.
A due settimane dai “manganelli di Pisa” e ad una dai cortei che hanno duramente contestato Israele – non prima di un decisivo intervento del Quirinale a favore della “libertà di pensiero, parola e manifestazione” – è lecito rafforzare l’ipotesi che il via libera agli studenti e l’alt alle forze dell’ordine abbiano materializzato anche la visibilità degli orientamenti dell’opinione pubblica italiana su Gaza. Non per caso la premier, certamente contrariata per la “strigliata” diretta del Quirinale al Viminale, ha però mantenuto un significativo silenzio stampa all’uscita dello Studio Ovale. E ha lasciato che il suo nome venisse contestato dagli studenti filopalestinesi assieme a quello della senatrice a vita Liliana Segre.
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