Daniela Danna, sociologa e docente universitaria, è intervenuta quest’oggi sulle colonne del quotidiano “La Verità” per parlare di tematiche legate al genere, argomento estremamente d’attualità, complice il dibattito sempre vivo sul Ddl Zan. Proprio dalla frase pronunciata nelle scorse ore dal deputato del Partito Democratico, Alessandro Zan, durante una diretta Instagram con il rapper Fedez, è partita l’analisi dell’esperta. Il primo firmatario della legge ha asserito che i bambini sin da piccoli hanno chiaro quale sia il proprio genere e debbano essere aiutati nel loro percorso di transizione, ma Danna non ci sta: “Sarebbe così se ci fosse un criterio per distinguere quei bambini che preferiscono stare con amichetti o amichette dell’altro sesso e comportarsi come loro e che poi da grandi decideranno di diventare transessuali, da tutti gli altri. Quando obietto che non hanno criteri di distinzione, di solito mi rispondono: ‘Ma c’è un team di esperti’. Per me i cosiddetti esperti possono anche essere cento, ma, se non hanno nessun criterio di distinzione, non dovrebbe essere loro permesso di fare esperimenti di blocco della pubertà e cose simili, su nessuno”.



Come riferito da Danna, viene utilizzato un farmaco ad azione ormonale, la triptorelina, per bloccare la pubertà, dietro autorizzazione rilasciata dall’Aifa ormai da qualche anno, in via sperimentale. Si agisce così su corpi assolutamente normali per via di “una presunta volontà dei bambini, o anche adolescenti, che notoriamente cambiano idea e spesso credono di aver trovato la soluzione ai loro problemi in qualche sostanza salvifica”.



DANIELA DANNA: “CI SONO ANCHE ALTRE VIE DA PERCORRERE”

Su “La Verità”, Daniela Danna ha poi puntualizzato che per avere una diagnosi di disforia di genere, secondo il manuale diagnostico dei disturbi psicologici statunitense che l’ha codificata, non è necessario detestare i propri genitali, né volere essere dell’altro sesso, né stare male a causa di questo, perché il disagio psicologico deve essere associata e non causato da comportamenti non stereotipati. Detto in altri termini: è una diagnosi che serve a intervenire per normalizzare i comportamenti devianti rispetto alle aspettative su come deve comportarsi un maschio o una femmina. Però, la transizione di sesso non è l’unico modo per affrontare il disagio manifestato nei confronti del sesso di nascita: “Ci sono approcci olistici che mirano a far stare bene le persone con se stesse e con il proprio corpo. Siamo un’unità di corpo e mente ed è bene aiutare le persone a stare bene con se stesse, nel proprio corpo, riconoscendo le forze socio-economiche che mirano invece a farci stare male per poi venderci qualche rimedio artefatto”.



Il problema vero, a detta di Danna, è che si sta sovrapponendo l’ideologia alla ricerca scientifica, in quanto “nessuno è in grado di distinguere quali minori aspiranti trans cambieranno idea da chi non lo farà” e “una soluzione farmacologico-chirurgica su corpi in sviluppo sani è sicuramente un danno“.