I galletti francesi sono stati spennati, i tedeschi son rientrati prima per preparare l’Oktoberfest, la Croazia ha giocato una partita da oratorio, l’Italia del Mancio ha avuto dalla sua parte Fede e Chiesa (lg. calciatore) contro l’Austria. Ieri nella prima giornata dei quarti la Svizzera, tra autoreti e rigori, si è fatta da sola i buchi nell’hemmental, mentre gli Azzurri, con una grande prova, un immenso Chiellini e un Immobile di nome e di fatto (per fortuna è rimasto a terra sul gol), ha battuto i belgi.
Stasera a Roma l’Inghilterra affronterà l’Ucraina di Sheva. Roma caput mundi, a parte la Danimarca le altre squadre ai quarti hanno fatto parte dell’Impero Romano e anche in Ucraina e Repubblica Ceca sono stati trovati dei resti di avamposti romani. Roma Caput mundi con la Chiesa che difende i diritti degli uomini, ma ne parlerò in coda.
Finalmente oggi un film sul calcio, The Keeper – La leggenda di un portiere (2019), bellissimo, un po’ strappalacrime ma profondo. 1944, è la storia vera di Bert Trautmann, giovane soldato tedesco catturato dagli inglesi e con altri prigionieri recluso in un campo di prigionia nel Lancashire dove c’è il sergente di ferro Smythe. Lavora, pulisce le latrine e gioca a calcio come portiere. Viene adocchiato da Jack Friar allenatore della squadra locale che riesce ad averlo in prestito per le ultime partite. L’accoglienza è però negativa, un nazista è chiaramente considerato un nemico. Grazie a lui si salvano.
Pian piano conquista i cuori della gente del piccolo paese e anche quello di Margaret, figlia dell’allenatore con cui si sposa a guerra finita. Nel 1949 un osservatore del Manchester City lo adocchia. Supera il provino e viene presentato come nuovo portiere dei Citizens, ma i tifosi si ribellano, Bert era stato insignito della Croce di Ferro. Era partito diciannovenne come volontario per la guerra, ma poi aveva scoperto la brutalità della violenza nazista. Chiede perdono, ma i tifosi di Manchester manifestano contro lui e la dirigenza. Sarà un articolo del rabbino della città a far comprendere che la violenza della guerra lo aveva già cambiato e che non si vive di rancore a vita.
Fischiato dai tifosi del City per diverse partite, li conquista con le sue parate diventandone un idolo. Nella finale di F.A. Cup del 1956 in uno scontro di gioco si rompe il collo con il rischio di morire, ma continua a giocare e i Citizens, grazie alle sue parate, vincono il trofeo. Mentre è in ospedale muore il figlioletto investito da un’auto. La coppia entra in crisi e Bert in depressione sentendosi colpevole, è convinto che il destino gli ha tolto il figlio perché durante la guerra non ha salvato un bimbo ucciso barbaramente da un suo commilitone.
Decide di abbandonare il calcio, ma sarà proprio l’ex sergente di ferro Smythe a spronarlo: anche lui sovrastato dal dolore per la morte della moglie e dei due figli uccisi dai bombardamenti nazisti, lo incita a rientrare in campo.
Giocò a Manchester 545 partite da titolare per quindici anni sino al 1964, ma non fu mai convocato dalla nazionale tedesca perché i giocatori che giocavano all’estero non venivano presi in considerazione. È entrato nella Hall of fame del calcio inglese.
Quasi tutti i calciatori dell’epoca avevano i capelli rasati sulle tempie come gli atleti di oggi. Corsi e ricorsi storici, con la differenza che ora i parrucchieri fanno gran soldi visto che le acconciature cambiano a ogni partita. In più si sono aggiunti i tatuaggi, moda dei tempi.
È un film che rileva il dramma della guerra con tutti gli strascichi possibili. Bert sulla sua pelle ne ha visto la brutalità, incapace di porvi resistenza, ma dentro di sé ha colto che il cambiamento era possibile. È stato amato e questo ha fatto la differenza. Non lo volevano accettare, è sicuramente difficile perdonare, pensiamo anche alle nostre situazioni personali, figuriamoci dopo una guerra. Il perdono non è un sentimento, è un’accettazione dell’altro che ha sbagliato coscienti che può redimersi, ma che deve essere amato più degli altri. E questo non viene naturale.
Abbiamo visto che in questi Europei gli ideologi progressisti sono entrati a piedi uniti e nessun arbitro li ha espulsi. La polemica sul tutti in ginocchio è strumentale, paragonabile ai tempi della Nazionale di Vittorio Pozzo, in pieno fascismo, in cui tutti inneggiavano al saluto romano. Non proprio tutti, nel 1931 all’inaugurazione dello stadio di Firenze, Bruno Neri non salutò. Ma la libertà oggi dove sta di casa? Queste polemiche sono create ad arte per uniformarci ai diktat del modernismo e progressismo. Allo stesso modo gli lbgt cavalcano l’onda, l’Allianz Arena di Monaco doveva essere illuminata dei colori dell’arcobaleno contro gli ungheresi, ma la Uefa ha stoppato tutto, “il calcio non è politica e neppure religione”. Intanto il portiere tedesco Neuer ha indossato una fascia per pubblicizzare un gay pride e così pure il capitano olandese Wijnaldum. Ma qui non si è mosso nessuno, l’Ue docet. Se non t’inginocchi sei razzista, se provi a discutere i principi degli arcobaleni sei omofobo, se contesti l’immigrazione selvaggia e i radicali islamici sei da condannare perché non vuoi accogliere. Finalmente (non è mai troppo tardi) il Vaticano ha espresso ufficialmente al Governo italiano le sue preoccupazioni e sono arrivati i fischi da arbitro, Enrico Letta, nato nella DC, ma che ora, per impossessarsi di voti, inneggia al decreto Zan, allo Ius soli, all’immigrazione selvaggia. Più a sinistra di Leu e Cinque stelle. Gli manca solo di inneggiare al decreto pro-aborto dell’Ue.
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