Nell’ultima riunione con il Governo, le Regioni hanno proposto di non fare più tamponi agli asintomatici. La comunità scientifica è insorta, in quanto proprio la loro individuazione è fondamentale per il tracciamento e la gestione dell’epidemia. Ma c’è un’altra questione che è stata sottovalutata in questi mesi. Non si è sempre asintomatici. Non è detto, cioè, che si contragga il coronavirus e non si sviluppi la malattia fino a quando il virus Sars-CoV-2 sparisce dall’organismo. Come evidenziato dal Corriere della Sera, i dati che abbiamo a disposizione non distinguono, infatti, tra presintomatici e asintomatici. Questo vuol dire che una parte della popolazione che è sottoposta a tampone, peraltro spesso durante uno screening in quanto contatto stretto di un positivo, e risultata positiva non manifesta sintomi quando viene effettuata la diagnosi, ma potrebbe manifestarli successivamente. Del resto, il tempo di incubazione è di 5,5 giorni circa.



NO TAMPONI COVID PER ASINTOMATICI? REBUS PRESINTOMATICI

Gli asintomatici sono però fondamentali nell’attività di contact tracing, perché la massima infettività coincide col momento immediatamente precedente alla comparsa dei primi sintomi. Nell’espansione della pandemia di coronavirus i presintomatici e asintomatici sono importanti, in quanto hanno un ruolo tutt’altro che secondario nella diffusione del coronavirus. Uno studio, citato dal Corriere della Sera, ha stimato che il 44 per cento delle infezioni deriva da presintomatici, un altro invece stima una forbice dal 40 all’80 per cento. Ma il contact tracing è andato in crisi per il moltiplicarsi dei casi. La platea degli asintomatici si sta allargando e la curva epidemica sta crescendo. “Nella situazione in cui siamo è giusto dare la precedenza ai familiari dei contagiati perché in casa sussiste davvero un contatto stretto e prolungato e il virus si diffonde facilmente”, ha dichiarato Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario all’ospedale Galeazzi di Milano.

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