Si torna a parlare di trivelle che fanno scattare le solite reazioni pavloviane. Perché in Italia parlare di energia è spesso tabù e quando lo si fa è da schizofrenia. Con il risultato che a seguire i comportamenti della politica in materia energetica oltre a provocare un certo disorientamento, si è indotti a credere che l’Italia veleggi in abbondanti risorse proprie, che sole e il vento ci abbiano affrancati dagli idrocarburi, specialmente quelli che si potrebbero estrarre in casa. Intanto però da ottobre le bollette di luce e gas aumenteranno del 2,6% e 3,9%.



Mentre leggiamo che la Grecia concede alle società Total, Edison ed Elpa il permesso di trivellare al largo di Santa Maria di Leuca appena oltrepassata la linea di demarcazione di competenza italiano, laddove il governo Conte 1 le aveva bloccate all’inizio dell’anno con una moratoria di 18 mesi, dai microfoni di Sky TG24 il viceministro alle Infrastrutture Giancarlo Cancellieri rassicura gli italiani che non ci saranno concessioni per l’estrazione di idrocarburi, perlomeno in Sicilia. Al netto del carico di propaganda per il suo elettorato di riferimento, quella di Cancellieri, pentastellato vicepresidente dimissionario della Regione Siciliana, è un’affermazione delicata che riguarda la sicurezza nazionale dell’approvvigionamento energetico.



In Sicilia si concentrano tre raffinerie a Milazzo, Augusta e Priolo dove si lavora il 40% del fabbisogno nazionale di idrocarburi. È ragionevole chiedersi come mai nel dopoguerra si sia deciso di sacrificare un gioiello costiero della Trinacria a un conglomerato petrolchimico, ma allora prevalse l’istanza di industrializzare una delle regioni più trascurate dallo sviluppo economico sostenuta anche dalla vicinanza del polo con gli esistenti giacimenti nazionali e dallo strategico posizionamento della Sicilia sulle rotte marittime del petrolio che arriva dallo stretto di Suez.

Nei decenni la situazione ambientale diventa critica. Vengono denunciati esalazioni e cattivi odori, e la Regione interviene, approvando a luglio di quest’anno, l’ambizioso piano di tutela della qualità dell’aria con l’obiettivo di ridurre le emissioni del 50%. Condivisibile, senonché il documento solleva polemiche con gli industriali locali che accusano i dati sulle emissioni alla base della definizione del piano regionale di risalire al 2012. Da allora non sono stati aggiornati e non tengono conto di tutti gli interventi effettuati e miglioramenti avviati dopo le prime autorizzazioni AIA.



Il tema è minato e la questione va affrontata con serietà sulla scorta di dati certi e non di pregiudizi, con decisioni univoche e non manovre gattopardesche. Un altro esempio, sempre pescato in Sicilia, nella terra del commissario Montalbano in Val di Noto. Ad agosto è stato concesso dall’assessore regionale al territorio e ambiente della Regione Sicilia un permesso di ricerca alla società statunitense Panther Oil. Si tratta della stessa società texana che nel 2017 era finita nel mirino dei NO TRIV, i quali scomodando persino Andrea Camilleri avevano ottenuto il blocco dell’autorizzazione. Ora il progetto di prospezione riparte giustamente ingabbiato in una serie di rigide prescrizioni, ma anche in un clima di incertezza condensata nella giustificazione concessa alla popolazione sul piede di guerra dallo firmatario stesso del decreto autorizzativo.

Si tratta di un’autorizzazione per la ricerca, cosa diverse sarebbe se ci fosse un’attività estrattiva. Perché, evidentemente, l’Italia del proprio oro nero può continuare a fare a meno, senza comunque aver ancora trovato la quadra tra consenso elettorale, ambiente e politiche energetiche.