Nel nostro Paese la tendenza a radicalizzare i conflitti, soprattutto quelli politici, è un fenomeno ben conosciuto, mai sufficientemente stigmatizzato senza che si riporti su di esso alcun successo. È un atteggiamento molto comodo: si spegne il cervello, si semplifica al massimo il problema e si alza la barricata: tu di qua e io di là. Ne è un esempio la situazione attuale sulla questione dei vaccini, in cui vax e no vax si confrontano anche aspramente a suon di proclami governativi e di chiamate alle armi finalizzate alla protesta di piazza. Viene alla mente la canzone di Gaber su “Destra-sinistra”: “fare il bagno è di destra, la doccia è di sinistra” ecc. a cui possiamo aggiungere che i vax sono di sinistra e i no vax, ovviamente, di destra. Non a caso picchiano i giornalisti e sono contro il governo e contro anche il green pass, entrato pienamente in funzione il 1° settembre ad onta delle manifestazioni che, secondo la stampa, hanno avuto ben poco successo. 



Ora: non serve ridire quanto ha benissimo detto Giulio Salerno ieri circa le dichiarazione estreme o errate o funzionali a chiudere la discussione senza ritorno, che hanno destato un certo stupore tra chi vorrebbe che la questione fosse affrontata con equilibrio e, possibilmente, con serenità. La serenità è d’obbligo in una situazione in cui non esistono ricette sicuramente efficaci a 360 gradi e in cui spesso i numeri che si invocano (es. la percentuale di vaccinati che consente la cosiddetta “immunità di gregge”) sono sottoposti a correzioni man mano che le basi dati si ampliano.



Le leggi scientifiche sono tali finché non vengono smentite per l’insorgere di nuove teorie ma questo, inutile dirlo, non impedisce di fare ipotesi e di mettere in atto provvedimenti finalizzati a evitare guai peggiori dell’inattività. Così le scelte relative alle politiche pubbliche: con ragionevole certezza riteniamo che lo strumento vaccinale abbia una sua efficacia, ma altrettanto ragionevolmente sappiamo che non è una panacea, che protegge dalle conseguenze più dannose del Covid ma non è un scudo spaziale contro la circolazione del virus, che continua, soprattutto se si punta solo su un’arma, il vaccino, enfatizzandolo in maniera tale da far passare in secondo piano mascherine e distanziamento, queste sì armi decisive per una difesa a 360 gradi. Peccato che puntare su distanziamento e mascherine non sembri facilitare un veloce ritorno alla normalità: meglio puntare su un vaccino, almeno nei paesi/continenti che se lo possono permettere.



Vi sono in generale elementi di incertezza, ad esempio per quanto riguarda i ragazzi sotto i 12 anni (anche questa, ovviamente, una soglia convenzionale, imperfetta per overinclusion e per underinclusion, vizi inevitabili in tutti i provvedimenti di carattere generale), incertezza che si assomma alle incertezze ancora presenti circa gli effetti a lungo termine del vaccino stesso, il che rende assai difficile invocare obblighi vaccinali imposti per legge.

Questo insieme di incertezze va considerato con la stessa serenità di cui si è parlato sopra: inutile ripetere che i vaccini necessitano di anni di sperimentazione, che il vaccino è stato introdotto in via emergenziale, che la fase sperimentale deve essere accuratamente monitorata e che ogni avvenimento avverso va registrato, valutato, reso noto ma con tutte le cautele del caso.

Si tratta, in ultima analisi, di banalissimo buon senso che in molti casi sembra sconosciuto ai media e ad alcuni componenti della classe politica.

Occorre rimettere in equilibrio la bilancia e soppesare certezze e incertezze. E, soprattutto, niente caccia alle streghe: chi ha dubbi, preoccupazioni, chi ritiene di essere un caso particolare, magari con qualche problematicità di tipo genetico o per altre malattie familiari; chi ritiene che sia problematico vaccinare ad oltranza, specie i più giovani, deve avere diritto di parola. Anche una campagna vaccinale può essere fatta bene, senza forzature e senza che sia necessario demonizzare l’avversario, chiunque esso sia. Ma anche un approccio caso per caso, di cui ogni tanto si sente parlare, fondato sul tentativo di convincere e non sulla minaccia di punizioni quanto mai improbabili per non dire ridicole, va messo in atto, che affianchi il lavoro sul campo e su larga scala. La fretta non è mai una buona consigliera e se si vuole riaprire senza il rischio di ricadute occorre cambiare registro e tornare a ragionare. 

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