Interviene con un tweet Papa Francesco per dare il suo contributo alla vicenda drammatica che ha colpito Noa Pothoven e l’intera nazione dell’Olanda: «L’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza» scrive il Santo Padre facendo intuire il livello e la portata della questione, non risolvibile in un bieco “tifo da stadio” che qui sotto abbiamo provato a riassumere. Al Corriere della Sera parla poi anche Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che spiega come la morte di Noa è una grandissima sconfitta per l’intera società europea «Pur non facendo notizia è drammatico il fatto che la seconda causa di morte dei giovani in Europa sia il suicidio. Per questo io chiedo un sussulto di responsabilità a tutti, nessuno escluso». Ancora Paglia insiste sul punto nodale, ovvero sulla domanda radicale che ognuno potrebbe e dovrebbe farsi: «stiamo costruendo un’Europa che appunto esclude i giovani dal proprio orizzonte? E non è semplicemente una questione di legge, è soprattutto una questione di ritrovare i fondamenti di una società – conclude il monsignore – che deve lavorare per edificare la vita e non fare o aiutare il lavoro sporco della morte».
NOA POTHOVEN, IL SUICIDIO E IL “TIFO DA STADIO”
Si può davvero parlare di eutanasia di stato in Olanda per la morte di Noa Pothoven? Il caso che ha lasciato senza parole metà Europa è ricco di dramma, di disperazione ma anche di una parte consistente di “mistero” che getta ancora più ombre su una vicenda che avrebbe meritato e meriterà una discussione ben più “alta” sul limite della libertà e sul problema-nodo dei diritti. Invece un attimo dopo la notizia della morte in casa della ragazza stuprata da bambina e da ragazzina, morta per sua stessa volontà, i media di tutta Europa si sono contro attaccati per chi aveva definito eutanasia di Stato accusando la assurda legge olandese sul limite abbassato a 12 anni per chiedere il suicidio assistito e chi invece intendeva difendere i Paesi Bassi spiegando che è stata Noa a lasciarsi morire di fame e di sete. In Italia il dibattito viene rilanciato dal leader dei Radicali Marco Cappato (sotto processo pendente per aver accompagnato Dj Fabo in Svizzera a togliersi la vita, ndr) che su Twitter attacca la stampa «L’Olanda ha autorizzato #eutanasia su una 17enne? FALSO!!! I media italiani non hanno verificato. L’Olanda aveva RIFIUTATO l’eutanasia a #Noa. Lei ha smesso di bere e mangiare e si è lasciata morire a casa, coi familiari consenzienti. Si attendono smentite e SCUSE».
NOA È MORTA DAVVERO DI EUTANASIA?
In effetti molti media olandesi – tra cui De Gelderlander e l’Algeemen Dagblad parlando di scelta personale e suicidio “solitario” ma il mistero resta visto che invece altri quotidiani autorevoli Ue – Times, Independent, Euronews – parlando si un’assistenza in casa fino alla dolce morte oltre ai parenti, con medici specializzati di una clinica privata. Il caso di Noa Pothoven insomma è tutt’altro che “semplice” anche se in queste ore si assiste all’ennesima e stucchevole “rissa” tra opposte tifoserie dove, forse, a venire eliminato dal dibattito è il vero punto della questione: la depressione, per qualsiasi motivo annesso, può portare al suicidio “accompagnato” da genitori, amici o ancor peggio medici sovvenzionati dallo Stato? E ancora, con la “tifoseria” schierata su web e contesti sociali tra “cultura della vita” contro “cultura della morte” non si rischia forse di perdere la bussola delle problematiche che il dramma di Noa racconta al cuore dell’uomo? Ad esempio la libertà, l’imporre al mondo l’unica cultura del “sono il diritto che voglio” e quel “rispetto la tua posizione fino alla morte” senza un briciolo di testimonianza e compagnia costante e “scomoda”. «La morte di Noa è una grande perdita per qualsiasi società civile e per l’umanità. Dobbiamo sempre affermare le ragioni positive per la vita», è stato il commento della Pontificia Accademia per la Vita, forse quello più umano e meno “schierato” – paradossalmente – perché non interessato ad imporre la propria visione ma colpito dal dramma e dal “messaggio” che la storia di Noa può dire a tutti noi.