Leggo su un sito la storia di Noa Pothoven. Una storia terribile: violentata a 11 anni durante la festa di una compagna di scuola, poi di nuovo a una festa per adolescenti, poi una terza volta per strada da due adulti. Un abuso, una violenza sconfinati. E Noa non ha retto: dopo anni di depressione, di anoressia, di disperazione, ha scelto di morire. In Olanda si può, la legge lo consente, ed è stata aiutata a morire.



Leggo la storia di Noa Pothoven, e nella colonna accanto, proprio di fianco al paragrafo in cui si parla delle violenze che Noa ha subito, compare una pubblicità. “I fondoschiena più famosi della tv”, dice. Ed è il sito di una testata giornalistica di primissimo piano. E il contrasto non può non farmi fare un salto. Perché, nella mia testa, il nesso scatta immediato. Che immagine delle donne possono avere ragazzi che crescono in un mondo in cui dovunque si girino si trovano in faccia fondoschiena, tette e quant’altro? I miei studenti, che dai loro cellulari bevono porno a go go, e sono convinti che le donne non cerchino altro che quello?



Leggo la notizia su un altro sito, e la giornalista scrive che Noa è stata violentata a 12 anni “a una festicciola di bambini”. Di grazia, in che mondo vive questa giornalista? Dev’essere giovane, non conserva come me una notizia del 1982, che diceva di un giudice svedese che aveva tolto la figlia tredicenne a una madre che le proibiva di avere rapporti sessuali con i coetanei. Certo, non può sapere – glielo dico io – che quando andai in Inghilterra nel 1972 la figlia undicenne dei miei padroni di casa mi incitava ad avere rapporti sessuali con la vicina quattordicenne. Non sono eccezioni: sono decenni che la cultura dominante dice che vale tutto; in Olanda, se non sbaglio, la legge dice che a partire appunto dall’età di 12 anni i rapporti sessuali sono legittimi.



Adesso, qualcuno dirà che sto giustificando gli stupratori. No. Non sto giustificando gli stupratori. La violenza è violenza, punto. Sto attaccando le anime belle, che – da secoli – esaltano la “spontaneità”, l’istinto, il soddisfacimento del desiderio immediato: c’è da stupirsi, se poi la pur sacrosanta norma giuridica non riesce a fare da argine all’istinto scatenato?

Il fatto è che noi umani siamo dei disgraziati, “bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre”, come dice il poeta. Noi maschi poi siamo delle bestie, l’animale che è in noi – Francesco Piccolo docet – è sempre pronto a ridestarsi. E allora, forse, per ridurre un po’ la violenza di cui noi maschi umani siamo capaci, servirebbe un po’ di autocritica. Bisognerebbe dire che la glorificazione dell’istinto, dell’immediato, della “dittatura del desiderio” è stata un errore. Bisognerebbe riconoscere che il “disagio della civiltà” – per dirla con Freud – è essenziale alla natura dell’essere umano. L’apoteosi della natura umana è la cultura – con tutti i suoi vincoli, le sue norme, i suoi sacrifici. Natura e cultura non sono in contraddizione: la cultura è il compimento della natura.

Quando ce lo dimentichiamo, trionfa l’animale. E l’animale stupra. E la sua vittima, che è umana, non sopporta. E può scegliere di morire. Stare davanti alla morte di Noa, allora, per me vuol dire domandarmi: che cosa permette di guardare una donna, di desiderarla, in maniera umana e non bestiale?