Il premio Nobel 2020 per la Chimica, annunciato ieri dall’Accademia reale svedese delle scienze, è stato assegnato a Emmanuelle Charpentier – francese, 51 anni, che oggi lavora in Germania all’Istituto Max Planck di Berlino – e Jennifer A. Doudna – americana, 56 anni, che insegna a Berkeley, in California – “per lo sviluppo di un metodo di editing del genoma”: il merito delle due scienziate è stato quello di aver ingegnerizzato il Crispr/Cas9, sistema utilizzato per modificare parti di materiale genetico con grande precisione e con grande facilità rispetto ad altri metodi. Insomma, delle vere e proprie “forbici genetiche” che consentono un “taglia-e-cuci” su misura del Dna.
Crispr/Cas9, arrivato poco meno di una decina di anni fa nei laboratori, è un metodo che ha rivoluzionato il lavoro degli scienziati nel campo delle scienze della vita, aprendo un po’ la strada alla cura delle malattie che hanno una base genetica: in pratica, consiste nell’inserire nella cellula un vettore che raggiunge il gene bersaglio scelto, consentendo così di intervenire su di esso tagliandolo in un punto specifico e togliendo o aggiungendo una o più basi (i geni infatti sono composti da una serie di basi, come dei mattoncini, il cui ordine è decisivo per il funzionamento di ciascun gene). Per Luca Sangiorgi, direttore della Struttura complessa malattie rare e scheletriche dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, “questo Nobel è meritato perché premia una scoperta molto innovativa, il cui utilizzo apre però un abisso di discussioni bioetiche, che devono essere affrontate in maniera molto accurata, perché il taglia-e-cuci va bene finché lo si fa per il bene delle persone e per la salvaguardia della salute, non per altri scopi”.
Un Nobel arrivato un po’ a sorpresa o, in epoca Covid, c’era da aspettarselo?
In un frangente come questo c’è naturalmente una maggiore sensibilità verso applicazioni che possono affrontare problemi legati alla trasmissione di un’infezione. Ci può stare. Aggiungerei che il sistema è anche molto innovativo e può offrire sviluppi estremamente interessanti.
Qual è il merito specifico di Charpentier e Doudna?
Il merito di questa scoperta interamente al femminile deriva dal fatto che è un sistema derivato completamente dalla natura, visto che è normalmente utilizzato da alcuni batteri per difendersi dalle infezioni virali. E’ un sistema molto elegante e pulito.
Perché viene ritenuto elegante?
Questo sistema presenta molti meno effetti collaterali rispetto alle vecchie terapie geniche.
Dove sta la differenza?
Questo metodo è minimamente invasivo e sembra lasciare ben pochi strascichi. Nelle terapie geniche vengono usati dei vettori virali per trasportare elementi di Dna, e quei vettori si installano nel Dna e non si muovono più. Noi non sappiamo tra 5-10 anni cosa genererà quel pezzo di vettore virale nell’organismo. Il sistema di Charpentier e Doudna invece va a tagliare solo il pezzo che interessa e lo sostituisce, cucendolo, con un altro che può aiutare a eliminare con estrema precisione il problema.
In quali ambiti e studi trova applicazione il metodo Crispr/Cas9?
Allo stato attuale è un metodo applicato ad alcuni ambiti, come l’agricoltura. E’ un sistema molto efficace e interessante, per esempio, per creare cibi geneticamente modificati. Ovviamente questo sistema si può allargare a tutti gli ambiti possibili, anche se sull’uomo e sugli animali siamo ancora a livelli molto sperimentali.
Il Crispr apre una strada promettente per la cura di patologie che fino a pochi anni fa sembravano intrattabili e per la cura dei tumori?
In un prossimo futuro il metodo Crispr potrebbe essere molto interessante per curare malattie genetiche o certi tumori indotti da specifiche mutazioni.
Anche le malattie ereditarie?
Sì, questo dovrebbe essere uno dei settori di applicazione più promettenti. Ma sottolineo dovrebbe.
E nel settore delle malattie rare?
Nel nostro settore potrebbe avere degli impatti molto consistenti.
Giocare con il Dna è suggestivo ma nello stesso tempo inquietante: non si corrono rischi di abusi sull’uomo?
Sull’uomo siamo ancora a un livello potenziale, ed è giusto sottolinearlo: non c’è al momento nessun utilizzo, diciamo così, sfrenato in quelle che sono le pratiche cliniche normali. Questo però non impedisce che la metodica non apra un’enormità di questioni di natura bioetica, proprio perché potrebbe consentire di giocare con il Dna in modo non corretto e non adeguato. Ma nello stesso tempo, se utilizzato in maniera corretta e specifica, potrebbe risolvere molti problemi che allo stato attuale non sembrano avere risposte efficaci. E’ il dilemma che ci si trova ad affrontare in questo tipo di situazioni. E’ comunque l’uomo che ha in mano questo metodo, spetta a lui decidere come usarlo in maniera corretta.
Quali potrebbero essere regole e limiti?
E’ sempre molto difficile pensare di mettere e di rendere efficaci regole internazionali su queste materie. Ci sono contesti culturali in cui queste regole sono applicabili, altri in cui queste stesse regole non vengono valutate come importanti, utili e necessarie.
C’è un rischio, anche se al momento potenziale e teorico, che grazie a queste “forbici genetiche” si possa modificare la stessa specie umana?
Si possono tutt’al più modificare alcuni tratti del genoma, ma vedo molto difficile e complicato modificare la specie umana. Non siamo ancora nella condizione di poter dire che cosa succederà. Anche quando uscirono le terapie geniche sembrava che tutte le malattie genetiche fossero risolte, invece siamo ben lungi da quell’obiettivo. E adesso vengono posti gli stessi interrogativi morali di allora. Non andiamo a sconvolgere troppo la natura: ci vuole realismo, occorre sviluppare una buona capacità di controllo su chi e come potrà utilizzare questo metodo, evitando che possa cadere in mani sbagliate.
(Marco Biscella)