Come auspicato da tanti – ed atteso già dall’anno scorso – il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia è stato assegnato a Katalin Karikó e Drew Weissman per i loro contributi nel definire vaccini basati sull’acido ribonucleico messaggero (mRNA). Utilizzare il mRNA come molecola “istruttrice” per la codifica di antigeni che in un secondo momento potrebbero indurre una risposta immunitaria specifica è in realtà un’ipotesi formulata e soggetta a sperimentazione già dal lontano 1989. È imbarazzante dover rilevare che molti che hanno contribuito all’impresa non siano stati neanche citati nelle motivazioni del comitato del Nobel.



Ciò riguarda in particolare lo scienziato Robert Malone, che ha contribuito in modo decisivo a mettere a punto il preparato vaccinale, mentre il contributo dei due premiati è stato sostanzialmente limitato all’inserimento di una molecola di pseudo-uridina (un analogo dell’uracile) che assicura una maggiore capacità di penetrazione dell’mRNA nella cellula. Non è un caso che Malone sia stato “dimenticato”, considerato che negli ultimi anni è paradossalmente diventato – proprio lui, uno dei pionieri del settore – uno dei più veementi critici della tecnologia basata sull’mRNA.



I sostenitori del vaccino anti-Covid esultano, e a ragione. Il premio è stato assegnato non solo per il contributo alla lotta contro il Covid-19, ma nella prospettiva che la nuova tecnologia possa concorrere a debellare altre malattie veicolate da microbi e a sconfiggere patologie come il cancro. Non si è ritenuto opportuno includere tra i vincitori Ugur Sahin e Oziem Tureci – gli sviluppatori del vaccino della Biontech-Pfizer – per la loro stretta dipendenza dalle aziende farmaceutiche. Come dire, meglio non dare troppo nell’occhio.

Il premio sancisce dunque la vittoria – tutta politica – del fronte che attribuisce ai vaccini il debellamento del Covid e soprattutto pone le basi per la nuova frontiera dell’industria farmaceutica: produrre farmaci “da tastiera”, basandosi essenzialmente sulle modifiche di sequenze di mRNA, riducendo al minimo la sperimentazione in laboratorio e negli stabulari e, soprattutto, bypassando buona parte dei dispositivi di controllo e regolazione che presiedono all’immissione sul mercato delle terapie geniche.



Secondo l’EMA, una terapia genica contiene un principio attivo che contiene un acido nucleico ricombinante utilizzato o somministrato a esseri umani con lo scopo di regolare, riparare, sostituire, aggiungere o eliminare una sequenza genetica. E i suoi effetti terapeutici, profilattici o diagnostici si riferiscono direttamente all’acido nucleico ricombinante somministrato, o al prodotto dell’espressione genetica di tale sequenza all’interno della cellula. Per il CDC (Center of Disease Control) di Atlanta, un vaccino è invece un preparato utilizzato per stimolare la risposta immunitaria perché contiene antigeni in grado di indurre una risposta immunologica contro un microrganismo. Orbene, sempre secondo l’EMA, il principio attivo del farmaco Covid-19 Pfizer è costituito da mRNA: non è quindi un antigene. A rigore, i vaccini basati su mRNA non dovrebbero quindi essere considerati vaccini perché non contengono antigeni.

Eppure sono stati considerati tali, imponendo anche all’organizzazione mondiale della sanità (WHO) di rivedere la definizione di vaccino. Di conseguenza, i preparati a base di mRNA sono stati esclusi dai protocolli regolatori americani ed europei che riguardano le terapie geniche. Questo sotterfugio – unitamente allo stato di emergenza dichiarato all’indomani dell’allarme pandemico – ha enormemente accelerato i tempi di introduzione sul mercato di farmaci genici spacciati per vaccini, relegando il principio di precauzione a pura formalità, sia in fase pre-marketing, sia dopo, dato che nessun programma di farmacovigilanza attiva è stato mai avviato.

Questa accelerazione dei tempi ha coinvolto, molto curiosamente, anche le ricerche di laboratorio. L’équipe di Moderna ha dichiarato di avere pronto un prototipo di vaccino già l’11 gennaio 2020, sottoposto alla FDA già 42 giorni dopo. Nello stesso periodo, Ugut Sahin dichiara alla stampa il 25 gennaio 2020 di aver già pronto il suo vaccino sperimentale. Efficienza e tempestività entrambe sospette su cui qualcuno dovrebbe finalmente dire qualcosa.

Fu vera gloria? Il vaccino è stato annunziato come vero e proprio strumento di salvezza, definito anche dalla Chiesa come “obbligo morale”, risolutore dei mali del mondo che avrebbe reso superfluo il vecchio armamentario medico (quello che, a detta del prof. Remuzzi, poteva invece ridurre le ospedalizzazioni del 90%). Che bisogno c’è di investire e studiare protocolli terapeutici quando siamo certi che la salvezza giungerà dall’mRNA?

Il vaccino ha tuttavia realmente sconfitto la diffusione del contagio? No, e del resto – come ammesso dalla stessa Pfizer davanti al Parlamento europeo – non è stato ideato per questo, ne è stato testato in tal senso. Ha impedito ai vaccinati di ammalarsi di Covid? Assolutamente no, come comprovato da milioni di casi che si sono ammalati – anche in modo importante – dopo la quarta dose. Il vaccino ha bloccato la trasmissione del virus? No, prova ne sia che nonostante il vaccino e il Green Pass, è stato dimostrato che i vaccinati potevano tranquillamente trasmettere l’infezione ad altri. Il vaccino ha offerto valida protezione? Forse sì nelle categorie più a rischio, ma per periodi molto brevi: dopo 2-3 mesi la protezione scende all’80% a meno del 40% e finisce con il diventare addirittura negativa a distanza di 6-8 mesi. Chi ha ricevuto più dosi finisce per essere più facilmente vittima del Covid.

Per impedirlo – in teoria – si sarebbe dovuta ripetere l’inoculazione vaccinale ogni 3-4 mesi. Vogliamo sottolineare quanto questo sia assurdo se si parla di un vaccino? Il vaccino ha impedito di morire a causa del Covid? No, molti dei vaccinati hanno contratto la malattia in forma grave, per poi soccombere. Vediamo del resto le statistiche. Rispetto ad Israele, una nazione per molti versi confrontabile con l’Italia, il tasso di vaccinazione (circa 2,2 per Israele e 3,8 per l’Italia) è risultato essere di gran lunga inferiore al nostro (Fig.1).

Sorprendentemente, la mortalità è risultata essere più alta però proprio in Italia (Fig.2).

Questo non è un caso isolato, dato che altri studi stanno mettendo in evidenza una correlazione tra vaccinazione ed aumento di mortalità complessiva. In particolare, un report recentissimo pubblicato il 17 settembre da Correlation Research in the Public Interest e condotto su 17 Paesi, ha evidenziato che vaccini non hanno avuto effetto benefico sulla riduzione della mortalità. Al contrario, sono stati riscontrati picchi di mortalità per tutte le cause in ogni Paese, soprattutto tra la popolazione anziana in concomitanza con l’introduzione della terza e quarta dose di richiamo. Parallelamente si vanno moltiplicando le segnalazioni di eventi avversi gravi e fatali. Numerosi studi hanno accertato il legame tra miocarditi, pericarditi e malattie autoimmunitarie.

E poi abbiamo ora finalmente potuto visionare una parte dei dati riservati (secretati per 75 anni e 4 mesi in origine, ma si sa, tenere nascosto un segreto sta diventando difficile in quest’epoca iper-connessa) della stessa Pfizer in cui l’azienda ammette in modo candido che, nel corso dei primi tre mesi di sperimentazione (dicembre 2020 – febbraio 2021), sono stati registrati circa 14 decessi al giorno (per un totale di 1.223) e più di 158.893 reazioni medio-gravi. Parola di Pfizer. Del resto, le agenzie di controllo – la statunitense VAERS in primo luogo – hanno dichiarato che il tasso di segnalazioni di eventi avversi supera di dieci volte quello registrato a seguito di tutte le vaccinazioni condotte nel corso degli ultimi 50 anni. Complessivamente, il dato fornito dalla VAERS indica che in tutto il mondo sono stati riportati 11 milioni di eventi avversi, con 70mila decessi “anomali”.

Inutile dire che bisogna essere cauti e che il nesso di causalità va evidenziato, caso per caso. Il problema è che nessuno si è preoccupato di farlo. La vulgata impone che si debba credere a chi dice che il vaccino è la salvezza e chi lo contesta è, nella migliore delle ipotesi, un neandertaliano retrogrado. Sarà, ma basta scorrere le pagine di un libro recente (Les apprentis sorciers, Albin Michel, Paris 2023) di Alexandra Henrion Caude – tra i maggiori esperti mondiali di mRNA – per rendersi conto che siamo solo alle soglie di un mistero tenebroso, i cui risvolti inquietanti vengono a svelarsi giorno dopo giorno. Leggere per credere. La verità è che la mortalità è drammaticamente crollata solo quando è comparsa la variante Omicron, caratterizzata da minore aggressività e maggiore capacità di adattamento al nostro organismo (Fig.3).

Ed oggi il Covid, ormai endemico, è nulla più che una forma influenzale. Ma il danno è fatto: l’entità dei danni collaterali e delle sequele che dovremo temere nei prossimi anni è preoccupante. Molti oncologi, sulla base di dati empirici, stanno registrando un inusuale incremento di tumori o riattivazioni di neoplasie in remissione. Su questo sappiamo poco e sarebbe necessario indagare a fondo. Non sappiamo ancora come curare molti degli eventi avversi registrati, anche perché alcuni stati – come l’Italia – si intestardiscono a negarli, nonostante l’esempio positivo offerto dalla Germania.

Il pericolo maggiore è però nelle premesse stesse di questa nuova e controversa tecnologia che si candida a sostituire l’apparato tradizionale della medicina, rivisitando regole, metodologie e finanche il codice deontologico. In tutto questo non c’è nulla di scientifico: l’insana alleanza tra tecnoscienza e capitalismo finanziario sta ristrutturando il comparto farmaceutico per produrre farmaci à demande, nel tentativo di rispondere alla crisi di produttività ed alla caduta verticale di innovazione che la attanaglia da ormai circa trent’anni. Dobbiamo aspettarci domani che soluzioni “facili” basate sull’mRNA verranno proposte per qualunque cosa: dal cancro all’alluce valgo. È per questo che il Nobel è stato conferito: per accreditare anzitempo una nuova tecnologia destinata ad imporsi a discapito della stessa evidenza scientifica.

La storia ci ricorda che, nel passato, il Nobel è stato assegnato per motivi e ragioni tutt’altro che commendevoli. Vogliamo parlare del premio “anticipato” ad Obama per la Pace? O di quello assegnato a Antonio Egas Moniz, per la discussa tecnica della lobotomia utilizzata per poco meno di quarant’anni come terapia per la schizofrenia? Purtroppo il premio – nel corso soprattutto degli ultimi vent’anni, sembra aver risposto a criteri di ordine politico ed industriale, piuttosto che adeguarsi a rigorosi criteri etici e scientifici. Questa volta però possiamo dire che è ben meritato. I dottori Karikó e Weissman – nel tripudio sciocco dei virologi da salotto – possono ben rivendicare di aver impresso una svolta decisiva alla tecnologia (più che alla scienza) ed alla pratica medica. Se questo sarà un bene, lasciamo – come si suole dire – ai posteri l’ardua sentenza.

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