L’assegnazione del premio Nobel per la pace a Memorial, associazione per la difesa della dignità della persona e dei diritti umani fondata dal fisico Andrej Sacharov, è un segnale di speranza e di pace per tutti. Avviene a sedici anni esatti dall’omicidio di Anna Politkovskaja, trucidata per la sua intensa ricerca della verità. Ed è associata al riconoscimento del coraggio morale del bielorusso Ales Bialiatski e dell’attività straordinaria del Center for civil liberties con sede a Kiev.
La premiazione di Memorial è un atto potente e commovente a un tempo. Viene indicato pubblicamente, infatti, come vero ed esemplare un modus vivendi. Un essere uomini e donne presenti nel tempo con qualcosa di irrinunciabile e invincibile. Tanti membri di Memorial hanno ricercato con pazienza, con fatica, con rischio personale la storia delle vittime della menzogna ideologica. Il loro lavoro è stato un atto di pietà verso altri uomini, dettato da una certezza ultima: quella di una verità storica dentro il tempo da cercare, da trovare e da conservare.
Sono stati, perciò, ricostruttori di storia e di storie, laddove più forte era stata la ferita, e proprio nei luoghi che il Potere voleva far dimenticare. Grazie al loro lavoro, abbiamo saputo di uomini che non hanno vissuto nella menzogna, che hanno pregato e pianto per un futuro diverso. Le testimonianze estratte dall’oblio ideologico dall’impegno coraggioso di Memorial sono, oggi, un monito contro scelte folli e la possibilità certa di una Russia e di un mondo diversi.
Sacharov (arrestato e condannato alla morte civile), Roginskij (accusato di parassitismo e condannato a 4 anni di campo), Dmitriev (condannato a 15 anni di carcere), Estemirova (uccisa nel 2009). Alcuni nomi delle stazioni di un calvario, il quale ci fa ricordare che una verità autenticamente grande ha un costo: la vita stessa. Il loro cuore, lasciatoci in modo drammatico, non è immobile in una memoria passata, ma avviene ancora nel tempo. Continua ad operare nell’attualità. E ci fa sorprendere in un debito difficile da pagare.
Ma di che cosa siamo debitori, ancora, a Memorial? Soprattutto, di averci consegnato le storie di volti, le loro sofferenze e la loro fine di uomini che il Nulla non può divorare. La storia non è, insomma, un Minotauro cieco che tutto inghiotte o un buco nero dove tutto si livella e scompare. Il tempo non è al servizio di uomini grigi che fanno perdere il senso di tutto e l’orientamento esistenziale, grazie al conformismo ideologico imposto con la violenza e la propaganda. Gulag, crimini politici, guerre sconsiderate non possono cancellare il nome dei Giusti. Il nome di ognuno, infatti, è traccia di un infinito in atto che resta impresso in chi lo ricerca. Resta segnato, inciso e ci segna, facendoci ricordare il valore istitutivo della vita. La foto di Estemirova, vittima della brutalità negatrice della verità, ad esempio, ci consegna non l’immagine di un passato dimenticato, ma la nobiltà di una somiglianza segreta e misteriosa.
L’atto di chi voleva liquidare legalmente e burocraticamente Memorial con una sentenza definitiva e inoppugnabile, insomma, ha sortito l’effetto opposto. Ha messo in evidenza tutta la luce che l’associazione ha portato in Russia e non solo. E ha posto una domanda decisiva alle autorità russe: quanta sofferenza inutile e quante morti atroci ancora dovranno patire popoli fratelli a causa dell’ideologia e della volontà di potenza?
Tra comunismo, crimini politici e nazionalismo religioso, Memorial indica una strada: il volto dell’altro non ha fine e la sua debolezza ci interpella, smuovendoci dal torpore esistenziale.
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