“Jouer avec le feu“, giocare col fuoco: questo è il titolo originale del film Noi e loro delle sorelle francesi Delphine e Muriel Coulin, trasposizione del romanzo “Quello che serve di notte” di Laurent Petitmangin. Chi gioca col fuoco è Felix detto Fus, il figlio maggiore di Pierre (uno strepitoso Vincent Lindon premiato a Venezia l’anno scorso con la Coppa Volpi), operaio cinquantenne nelle ferrovie, che si impegna a crescere con cura e affetto il ragazzo insieme al fratello minore Louis, dopo la scomparsa prematura della loro madre.
Gioca col fuoco perché, pur in un clima familiare sereno e allegro, dove non mancano il dialogo, la confidenza e gli scherzi, Fus si avvicina a compagnie pericolose, violente e con ideali di estrema destra ben lontani dall’impegno sindacale del padre, pienamente inserito nel contesto della regione post-industriale della Lorena. Pierre neppure immagina le simpatie del figlio. Lo scoprirà solo sul web, scorrendo l’inquietante profilo del giovane che non gli aveva mai dato grandi problemi.
Sostenuto dal figlio minore che, a differenza del primogenito molto sportivo ma sicuramente non uno studente modello, è brillante a scuola e aspira a iscriversi alla Sorbona, il padre cerca di capire e allontanare il mondo rude e intollerante che si affaccia nella sua famiglia.
Forse è proprio l’assenza di una figura femminile, moglie e madre accogliente, la causa profonda che contribuisce allo scatenarsi del dramma che investirà il piccolo nucleo familiare, apparentemente così ben affiatato. Gli ideali del padre, uomo retto, serio e aperto al mondo, che lavora anche di notte, ma cerca in tutti i modi di non sottrarre tempo ai figli, sono rifiutati senza mezzi termini da Fus, che condanna la politica del Governo e l’immigrazione, creandosi una visione del mondo in cui si deve distinguere tra “noi e loro” e “loro” sono quelli che in fondo non sono veri francesi, o sono privilegiati parigini e vanno colpiti anche con la forza, perché costituiscono il nemico da combattere. La distanza tra padre e figlio diventa sempre più profonda, non si comprendono più, rinunciano al confronto e Pierre osserva con preoccupazione crescente il suo ragazzo, sempre più attirato da un’ideologia che lui non può che respingere.
Fus, dal canto suo, si convince di essere solo il fratello meno bravo rispetto all’amato compagno di giochi dell’infanzia Louis, che secondo lui è il prediletto dal padre. Complice di un’aggressione, verrà poi brutalmente picchiato per ritorsione dai suoi “nemici”, che lo ridurranno in fin di vita. Pierre lo curerà amorevolmente, grato che sia ancora vivo, ma senza avere il coraggio di riaprire un dialogo franco. Di questo silenzio si dovrà poi pentire quando Fus, ormai ristabilito, si vendicherà di chi l’ha colpito e diventerà un assassino.
Pierre sentirà di aver fallito e faticherà persino ad andare in carcere a trovare il figlio, con cui non sembra possibile riprendere il dialogo. Cos0ha sbagliato Pierre? Anche se in prigione Fus gli dice “spero che almeno Louis ce la faccia, per noi tre”, riconoscendo quindi il valore della loro famiglia, il padre non può non affermare, come ha fatto in tribunale, che la vita del suo ragazzo è rovinata e in qualche modo per colpa sua. Perché Fus ha scelto quella strada e lui perché non è riuscito a fermarlo?
Ancor più drammatica la vicenda vissuta nell’oppressiva società iraniana narrata nel film Il seme del fico sacro (premiato a Cannes) del regista Mohammad Rasoulof, in esilio proprio per la sua dura denuncia contro il feroce regime teocratico del suo Paese. Ma qui il problema dell’educazione è legato alle severissime e pervasive istituzioni islamiche, il cui potere violento e spietato si scatena contro le rivolte delle donne nel 2022.
In un’agiata famiglia religiosa di Teheran il padre Amin ha finalmente ottenuto l’agognata promozione a giudice istruttore: dovrebbe preparare i processi, ma quasi sempre gli accusati saranno condannati, senza magari che nemmeno riesca a leggerne il fascicolo. Sono proprio i giorni delle manifestazioni e rivolte nelle piazze e nelle università, brutalmente soffocate nel sangue.
La moglie devota e sottomessa sostiene il marito, nascondendo alle figlie adolescenti gli aspetti crudeli del lavoro del padre. Ma le ragazze vedono le proteste su internet, sono contagiate dal desiderio di libertà della gioventù iraniana e vorrebbero unirsi alle manifestazioni, anche perché hanno amiche coinvolte. Inizia così la sequela di menzogne, di verità non dette da ambo le parti. Le figlie non credono ai notiziari televisivi: vedono la verità sui social o sul volto orrendamente tumefatto di un’amica innocente, colpita dalla polizia.
Le ragazze cercano la solidarietà della madre per aiutarla e lei fa il poco che può, ma di nascosto, perché occhi indiscreti e voci maligne non danneggino la carriera del marito con la delazione. Loro, infatti, appartengono a un’élite privilegiata al servizio della sicurezza dello Stato.
Improvvisamente scompare la pistola di Amin, necessaria alla sua difesa personale e custodita in casa. L’onorabilità del funzionario è minacciata e lui è deciso a difenderla, a costo di trattare moglie e figlie, che pur ama sinceramente, come criminali. Denunciato su internet dai manifestanti, Amin decide di scappare con la famiglia, apparentemente per salvare tutti e quattro, in realtà per costringere moglie e figlie a dire la verità sulla sua pistola. È pronto a tutto e il dramma sarà inevitabile, anche se con colpi di scena ed esiti tragici, che lasciamo scoprire al pubblico.
Lo spettatore è intimamente coinvolto e, tra le tante domande su un regime così violento e menzognero, si interroga sul padre Amin, che sottomette tutto, anche l’amore per la famiglia, alle norme implacabili della legge islamica. Può un padre tradire così i suoi cari?
Il giudice istruttore non ha alcun dubbio, mentre Pierre, nel film Noi e loro, si sente profondamente in colpa. In realtà, nel dramma della vita la vera educazione di un padre è chiamata ad accettare comunque il “rischio” di rispettare la libertà del figlio. Anche se sbaglia, sapendo che tutti abbiamo bisogno di essere perdonati e perdonare.
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