“La classe dirigente non è quella che detiene il potere, ma quella che lo deterrà al prossimo cambio”, diceva Marshall McLuhan. Ma neanche il grande sociologo canadese avrebbe saputo prevedere la mostruosa forza di adesione alle poltrone manifestata dal deprimente partito dei grillini, nobilmente destinato a perdere quanto prima il potere usurpato, eppure capacissimo ancor più “in articulo mortis” di spendere tutte le sue energie interdittorie per far man bassa di poltrone.
È all’insegna degli appetiti pentastellati che si profila in queste ore un sabato di passione nel Palazzaccio del governo, che invece non dovrebbe avere altro pensiero all’infuori del virus. Si pensava da più parti che l’infernale emergenza in atto avrebbe indotto il Governo a una proroga secca degli attuali vertici, o almeno a un loro rinnovo per un anno. Macché. Siccome del doman non c’è certezza, e dunque a questi quando gli ricapita, hanno fame. Anche perché le nomine restano, i seggi parlamentari passano, e da autentici deficienti i grillini hanno anche segato il ramo dove sono appollaiati, riducendone il numero. Dunque, sotto alla lottizzazione a cinquestelle.
Francesco Starace ha solo fatto bene da capo (amministratore delegato) dell’Enel, e lì resterà. Claudio De Scalzi si è ritrovato una polizza vita in tasca con le inchieste sconclusionate in corso contro di lui per cose fatte (o non fatte) dal predecessore Scaroni, tali per cui chi abbia un grammo di garantismo nel suo dna non può che confermarlo in carica, per non darla vinta a tavolino alla Procura di Milano. In ballo, però, le due presidenze. Si parla – ma tu guarda! – di Franco Bernabè per l’Enel, che ha già presieduto Eni e Telecom, era forse un po’ in astinenza, e di Gianni De Gennaro, presidente della Finmeccanica, meritevole di promozione soprattutto per le stellari relazioni internazionali tessute sull’ordito dei servizi segreti che ha diretto.
La sorpresa a livello operativo potrebbe arrivare proprio a Leonardo, dove l’onesta gestione di Alessandro Profumo onesta era e tale è rimasta, senza far sognare né per strategie, né per risultati a breve, anche se i conti sono migliorati. Ma tant’è: la poltrona fa gola, e dunque…
A essa potrebbe ambire l’attuale bravissimo capo di Terna, Luigi Ferraris; bravo anche l’outsider Stefano Donnarumma, oggi alla guida dell’Acea, che se Ferraris ascendesse potrebbe sostituirlo in Terna; e il sempreverde Alfredo Altavilla. Per l’Acea, in caso di sgombero per promozione, sarebbe ben piazzato Valerio Camerano uscente da A2A. Tra i nomi in panchina anche quello di Francesco Caio, ex Omnitel-Olivetti-Cable and Wireless, ex tutto: ma poco probabile.
A livello di bilancino politico – sia detto per gli appassionati del genere – le nomine vengono ispirate al Premier da un comitato composto dal grillino Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla Presidenza, dal ministro piddino della Cultura Dario Franceschini, dall’altro piddino viceministro economico Antonio Misiani e dalla renziana Maria Elena Boschi. Siccome Conte spariglia, ecco che ai pentastellati devono andare il 50% delle poltrone, purché capiscano quali sono quelle importanti.
Altro che disinteresse ai giochi di potere, altro che nuova politica. Sono come gli altri se non peggio. Perfino le realtà più piccole come l’Enav, oggi guidata dalla piddina Roberta Neri, attraggono i Cinquestelle che candidano il loro Paolo Simioni, oggi al capo dell’Atac, amico della Raggi.
Questo è lo scenario nomine. Tutt’attorno debito pubblico, morti, incapacità gestionale e organizzativa sia della pandemia che della ripartenza. Annotiamoci questi appunti di viaggio per quando finalmente si tornerà a votare.