In un paese normale, il capo della televisione pubblica, preso atto di non avere più una maggioranza in consiglio, rassegnerebbe le sue dimissioni e se ne andrebbe casa. Però questo non succede in Italia, dove l’amministratore delegato della Rai ha preteso di fare le “sue” nomine nonostante la contrarietà di quasi tutti i suoi azionisti. Dopo il Cda di ieri sera, sembra infatti proprio di averli contro tutti. Sia quelli della maggioranza precedente, quella gialla-verde, che lo hanno nominato. Sia quelli della maggioranza attuale, tra cui il Pd che ha chiaramente criticato il suo operato, dandogli dell’“incapace” nel gestire la Rai.



Sia quelli che dovrebbero probabilmente formare la maggioranza futura che uscirebbe dalle urne se si votasse oggi. È stato infatti Salvini in persona, parlando dal tour elettorale in Emilia, a sparare bordate contro “la solita occupazione della Rai” da parte della sinistra.

Ovviamente i conti non tornano. Per chi ha lavorato Salini se è riuscito nella straordinaria impresa di avere tutti contro? L’unica spiegazione è anche la più semplice: ha lavorato per se stesso. Come spesso capita, quando un manager pubblico capisce di aver concluso il suo ciclo – che in questo caso è stato assai breve – e di non avere molte altre possibilità di ricollocazione, tende a considerare prioritari i suoi interessi, la sua squadra, le sue mire future. Per un uomo che viene dal mondo della produzione (Salini prima della breve e infelice esperienza a La7 è stato per molto tempo socio della “Stand by me” della renzianissima Simona Ercolani) è stato abbastanza naturale dare priorità alle reti e alle divisioni, e puntare molte delle sue carte su quel Coletta che ha voluto fortemente alla guida di Rai1 e che vorrebbe anche capo della divisione intrattenimento “prime time”.



Quello che meraviglia è il comportamento del Movimento 5 Stelle. Sono gli unici che hanno approvato tutto senza fiatare. Eppure dovrebbero ricordare chi è stato al loro interno il principale sponsor di Salini quando governava la coppia Di Maio-Salvini, e i due vicepremier erano praticamente d’accordo su tutto. Fu proprio il senatore grillino filo-leghista Paragone, espulso qualche settimana fa dal Movimento, a sostenerne la candidatura. Così come sorprende anche il silenzio mantenuto su tutta la vicenda dal premier Conte e dal suo uomo della comunicazione Casalino, che pure un’idea di cosa sia la Rai dovrebbero averla dopo due anni di permanenza a Palazzo Chigi.



Le decisioni imposte ieri da Salini avranno conseguenze aziendali molto serie. Intanto l’amministratore delegato si è assunto la responsabilità di lasciare vacante la direzione della rete ammiraglia in un momento delicato della stagione, alla vigilia del Festival di Sanremo. Cosa ancor più grave se si pensa che Rai1 ha continuato in questi mesi a mietere successi, ed è l’unica rete Rai con risultati positivi da settembre fino alla miniserie La guerra è finita andata in onda lunedì sera, che ha toccato la percentuale record del 21% di share. Non si sa quale argomento Salini abbia usato per sostituire la De Santis con Stefano Coletta. E in ogni caso la scelta – fatta in modo maldestro e senza argomenti – lascerà sicuramente in eredità all’azienda un contenzioso difficile da sbrogliare.

Detto questo, la forzatura compiuta ieri da Salini non risolve il problema principale posto dagli azionisti. In particolare il Pd ha chiesto il rispetto dei nuovi equilibri politici nella gestione dell’informazione pubblica. In pratica stiamo parlando delle direzioni delle testate giornalistiche, che rimangono in mano a un leghista e agli uomini del partito della Meloni (che per questo ha votato a favore).

Ma anche il progetto di riforma organizzativa è al palo, e in 12 mesi non sono stati fatti significativi passi in avanti. Senza contare che su metà delle proposte l’Ad ha incassato il voto contrario del consiglio e non è detto che possa procedere facendo finta di niente. Giunti a questo punto, bisogna dire che anche per Salini il voto in Emilia-Romagna è diventato ininfluente, nel senso che, a prescindere da chi vincerà, dovrà in ogni caso prepararsi ad andare via.