Quattro anni fa, un lunedì mattina di luglio, il Consiglio dei capi di Stato e di governo dei 18 Paesi dell’Eurozona impose la “pax merkeliana” alla Grecia, ma in fondo in massimo grado a tutta l’Europa. La fotografia simbolo di quella notte in bianco a Bruxelles vide il cancelliere tedesco faccia a faccia con il premier ellenico Tsipras – obbligato alla resa incondizionata dopo vari tentativi di “ribellione” – sotto gli occhi muti del declinante presidente francese Hollande. Il presidente della Commissione Ue, Juncker, rimase del tutto fuori dai colloqui. Il presidente della Bce, Draghi, fu duramente attaccato dal ministro delle Finanze tedesco Schauble. Il primo ministro italiano Renzi rimase a lungo in attesa nei corridoi di palazzo Charlemagne, assieme a tutti gli altri leader dell’Eurozona, alla fine allineati sul diktat Merkel. Un anno prima del referendum Brexit, il premier britannico Cameron si era defilato in anticipo con il pretesto che la crisi del debito greco non riguardava l’intera Ue (e Berlino aveva tacitamente gradito).



Il primo lunedì di luglio del 2019 ha visto il plenum del Consiglio Ue, chiamato a rinnovare l’alto organigramma dell’Unione, sfondare il record di durata del summit 2015, ma con sviluppi ed esiti molto diversi (grottesca, anzitutto, la presenza del premier britannico May, dimissionaria su Brexit). Le istantanee simbolo, stavolta, sono più d’una: anzitutto la Merkel e il presidente francese Macron alla massima distanza di tavolo all’inizio della cena di domenica; e molte sedie vuote all’avvio del breakfast di stamattina. È mancata – per ora – la foto ufficiale: quella con l’incoronazione del socialista tedesco Frans Timmermans che il cancelliere tedesco sta lottando all’estremo per ottenere domani, dopo una riconvocazione del tutto eccezionale del summit “a orologi fermi”.



Una terza foto – non è dato per ora sapere quanto significativa per l’Ue o l’Italia – aveva però rianimato già all’alba una sala stampa stanca e frustrata: è stato il premier Conte a informare che gli sforzi per superare lo stallo sull’ennesimo “piano Merkel” erano ancora in corso. La disponibilità italiana a “valutare” la candidatura Timmermans al vertice è emersa in effetti come uno dei pochi punti fermi (e non di poco conto) durante un’intera nottata certamente drammatica per l’Ue. Un passaggio che molti osservatori considerano comunque conclusivo della lunga egemonia tedesca sull’Europa, incarnata dalla cancelliere in carica da 14 anni. Una Merkel che paga molti errori recenti, ma soprattutto la perdita di forza e consenso nella sua Germania.

Il “rinvio mascherato” deciso non può essere in alcun modo registrato alla voce “schermaglie tattiche”:  prima o poi le istituzioni Ue avranno nuovi presidenti, ma già il Parlamento europeo sceglierà forse per la prima volta il suo numero uno senza accordi fra i capi di Stato e di governo. E i nomi che emergeranno per Commissione, Consiglio, “Mr Pesc”, Bce si annunciano già come i primi di una nuova fase, non certo quelli di una relativa continuità.

Questa volta Merkel ha dovuto affrontare una ribellione ben più ampia e profonda di quella portata da Atene. Appena atterrata dal G20, ha dovuto incassare una sfiducia – probabilmente imprevista e quindi più grave sul piano politico – da parte dei leader del Ppe: soprattutto da quelli dell’Est europeo ma non solo. D’altro canto la cosiddetta “bozza di Osaka” era stata concordata non fra i leader delle forze politiche rimescolate a Strasburgo dal voto del 26 maggio, ma di fatto fra  Merkel e Macron: con il solo appoggio dell’Olanda (cui era stata promessa la prima poltrona di Bruxelles) e della Spagna (più importante Paese-membro dell’Eurozona a guida socialista, ma anche vassallo di Berlino dopo il maxi-salvataggio bancario del 2012).  Pochissima condivisione sia a livello politico che a livello intergovernativo su un’ipotesi cervellotica: affidare la commissione Ue al primo vice di Juncker, a un grigio falco nordico; soprattutto: all’esponente della forza politica più nettamente battuta al voto europeo dall’avanzata anti-establishment. Una sinistra in crisi storica in Italia e Francia, incerta se rimanere nella pericolante coalizione Merkel in Germania e sotto pressione ovunque nell’Europa centro-orientale. 

Ma poco attrattivo anche il resto del pacchetto. A Manfred Weber, lo “spitzenkandidat” bavarese del Ppe, un altro sconfitto alle urne Ue, sarebbe andato “a trattativa privata” un mandato pieno all’Europarlamento: una “consolazione”, soprattutto, per la Csu, alleata sempre più irrequieta della Cdu merkeliana in Germania.  E lo stesso premier belga Charles Michel – destinato a sostituire il polacco Donald Tusk al Consiglio –  sembrava tutt’altro che un leader credibile, proveniente ancora dal “giardino di casa” tedesco del Benelux. Inoltre, la quota rosa per eccellenza nella politica globale sembrava ignorare la componente femminile, mentre già nei corridoi di Osaka era stato tenuta fuori dal tavolo la successione di Mario Draghi alla Bce: forse la nomina più importante, in gioco diretto fra la Germania (che puntava a Weidmann a Francoforte come alternativa a Weber a Bruxelles) e la Francia, che pone già come pretesa un parigino alla Bce dopo il veto a Barnier alla Commissione. Resta il fatto che neppure dopo in sostanziale rimaneggiamento (con l’ipotesi Verstager alla diplomazia e della bulgara Kristeva al Consiglio) la Merkel è riuscita a battere pugni decisivi sul tavolo.

E l’Italia? Tatticamente Conte si è mosso con abilità, certamente in raccordo col Quirinale e con il ministro degli Esteri, Moavero, profondo conoscitore di cose Ue.  Il premier ha ribadito che l’Italia non intende “mercanteggiare” la partita nomine con l’esito della procedura d’infrazione aperta sul debito. Ma è chiaro che procedura e dossier migranti sono sul tavolo Italia-Francia-Germania: come sempre dipende dal prezzo concordato. Così come saranno rilevanti altri “oggetti politici”: la qualità del portafoglio in Commissione offerto a Roma (crescono le chance dello stesso Moavero) e la permanenza di un italiano nell’esecutivo Bce dopo Draghi (il governatore Ignazio Visco?).

Conte ha “disobbedito” al suo vice Salvini come la Capitana della Sea Watch? Difficile pensarlo. Più facile intravvedervi un ennesimo momento dello strano “gioco di squadra” costitutivo del governo giallo-verde, in quanto ogni giorno improvvisato sotto gli occhi attenti ma perennemente ansiosi del Quirinale.