Prima ancora dell’inizio del Consiglio europeo che si concluderà oggi, la partita sui “top jobs” Ue era di fatto già chiusa, con la riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, la nomina di Antonio Costa, ex Primo ministro portoghese, alla guida dell’organismo che riunisce i capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, e quella della Premier estone Kaja Kallas quale Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. Secondo Giulio Sapelli, professore emerito di storia economica alla Statale di Milano, è proprio quest’ultima nomina a rappresentare un elemento di novità.
Per quale motivo?
Perché un politico dirigente di uno Stato baltico confinante con la Russia è assurta a questa carica che finora era stata appannaggio sostanzialmente dei socialisti, che avevano comunque portato avanti una politica filo atlantica e, negli ultimi tempi, anti-russa, come sviluppata dal concerto delle forze politiche che dominano il Parlamento europeo sotto la pressione statunitense. Questa nomina segna oggettivamente un cambio di passo, si va verso un’intensificazione del conflitto con Mosca.
La colpisce di più il fatto che l’Alto rappresentante per la politica estera sia estone o che provenga dalla formazione liberale che ha tra i suoi esponenti di spicco Emmanuel Macron, che non ha nascosto le sue intenzioni su un intervento militare diretto contro la Russia?
Bisogna sempre ricordare come funziona l’applicazione del metodo funzionalista alle organizzazioni europee. Dietro il velo della rappresentanza territoriale nazionale dell’Ue, per cui si conferiscono le nomine sulla base di un equilibrio di rapporti tra Stati, in cui viene considerato anche il numero di abitanti degli stessi, in realtà si nasconde una rappresentanza determinata dalla partecipazione a una determinata famiglia politica europea.
In questo caso l’Alde, l’Alleanza dei liberali e dei democratici per l’Europa.
Sì, non si tratta di un partito liberale nel senso classico, ma di un costrutto che esprime una forma di neoliberalsocialismo, quello di origine macroniana, che attinge in parte al pensiero liberale nordamericano e in parte a quel socialismo democratico che aspira sempre a un intervento, seppur debole, dello Stato nell’economia. Tra l’altro, salvo che in Francia, ne fanno parte partiti forti nei cosiddetti Paesi frugali, quelli più rigidi nell’applicazione dell’ordoliberismo. In queste settimane dopo le europee è stato detto che l’Europa va a destra, ma non è così: c’è stato un rafforzamento delle forze dell’estrema destra, ma il “corpaccione” europeo rimane ancora ben attestato al centro, con un’apertura verso il socialismo e a questa nuova formazione che ha avuto in Macron il suo alfiere.
Di questa “famiglia europea”, l’Alde, fa parte anche Mark Rutte, l’ex Premier olandese che è appena diventato Segretario generale della Nato. Cosa pensa di questa nomina?
Mi pare che venga infranta l’idea portata avanti anche negli ultimi anni dalle forze politiche latine di un rafforzamento del fronte sud della Nato. Anche se la Russia è ben presente nel Mediterraneo, soprattutto nel Nord Africa e nell’Africa centrale, vedasi Libia e Niger, si presume che se ci sarà uno scontro di contenimento, di rollback, questo avverrà intorno a Kaliningrad, nel Mar Baltico, oppure più vicino all’Artico. Tra l’altro la Russia ha già una retrovia importante, utilizzata in passato da Stalin, che aveva spostato tutta l’industria oltre la catena degli Urali, a Ekaterinburg. Non penso sia un caso che proprio lì sia stato arrestato Evan Gershkovich, il giornalista del Wall Street Journal accusato di spionaggio. Credo che i russi si stiano preparando a potenziare quella città. Tornando alla sua domanda, mi sembra che la nomina di Rutte segni un inasprimento del conflitto strategico con Mosca e non fa presagire nulla di buono, perché aumenterà le tendenze aggressive russe, che finora stanno avendo successo sul fronte sud della Nato.
È stato evidenziato che le nomine europee sono state di fatto guidate da Francia e Germania. Non è paradossale, visto che si tratta dei due Paesi europei più deboli, politicamente ed economicamente, in questa fase?
Sembra paradossale, ma se ci pensiamo bene la Germania ha sempre guardato a est e se i Paesi Baltici e al confine con la Russia vogliono avere un rapporto con l’Europa passano dalla Germania. La quale è sì indebolita economicamente, ma viene favorita da questo spostamento di rotta verso il Baltico nella capacità di attrazione e di influenza sulle nomine. Anche quella di Rutte, a ben vedere, è frutto dell’atlantismo tedesco, non certo di quello francese. Chi esce vittorioso da queste nomine è la Germania, mentre la Francia sta colando a picco come capacità diplomatica.
Non sarebbe stato meglio aspettare l’esito delle elezioni parlamentari francesi prima di procedere alla nomine Ue? Oppure si è voluto proprio evitare di farlo?
Certamente aspettare sarebbe stato meglio, ma farlo avrebbe voluto dire mettere in discussione gli equilibri che la burocrazia celeste ha costruito faticosamente negli anni: l’Ue ha un suo calendario che guarda sostanzialmente al potere della tecnocrazia, non agli appuntamenti elettorali degli Stati membri.
Da parte italiana c’è stata una protesta evidente da parte della Premier Meloni sul merito e sul metodo delle nomine Ue e anche le parole del capo dello Stato, secondo cui in Europa non si può prescindere dall’Italia.
Mi sembra che non si sia capito come funziona veramente l’Ue. Gli Stati membri sono 27 e il peso che l’Italia ha nella burocrazia celeste, nella tecnocrazia, è minimo. Trovo ingenuo, puerile l’atteggiamento della Meloni. Capisco che lo faccia per esigenze di politica interna, anche perché le europee non le hanno dato gli stessi risultati che in passato hanno avuto il Pd di Renzi o la Lega, ma se fosse stata un po’ più lungimirante avrebbe dovuto “abbozzare” e cercare poi di ottenere qualcosa, anche perché la von der Leyen potrebbe avere bisogno dei voti di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo per essere sicura di poter guidare ancora la Commissione.
L’Italia potrà riuscire a ottenere un posto di peso nella Commissione?
Penso di no. Il fatto che siano circolati nomi come quello di Letta, un italiano che non rappresenta l’Italia, mi pare già uno sfregio per il nostro Paese. Forse chi si sta muovendo bene è Tajani, un uomo di lunga esperienza europea, che sa che non si abbaia alla luna, ma si lavora sottoterra come le talpe per creare le condizioni per poi emergere. Ritengo la Meloni abbia sbagliato, non ha capito ancora come si lavora in Europa.
Al Consiglio europeo si parla anche dei temi chiave dell’agenda per la prossima legislatura. Dall’immigrazione alle politiche green, l’Italia otterrà qualcosa? Si potrà cambiare registro o no?
Assolutamente no. L’Italia si metterà in coda ad aspettare quello che arriverà. Ed è un grande dispiacere. Essendoci però comportati in modo infantile, mi sembra che non otterremo nulla. La Germania ha anche detto che di debito comune non se ne parlerà. Saremo sconfitti su tutta la linea e tra poco tornerà di nuovo all’ordine del giorno la ratifica del Mes. Bisognava portare avanti una diplomazia economica intelligente, creare delle alleanze, ma questo lavoro non è stato fatto. Di questo va data una parte di responsabilità anche al Pd.
Perché?
Ha mancato di spirito nazionale. In questa situazione indebolire la Meloni non è fare l’interesse dell’Italia. Il Pd dovrebbe battersi per rivedere profondamente i Trattati europei e trovare su questo convergenze con il Governo. Non è il momento di dividere la nazione.
Anche la Francia, come l’Italia, è oggetto di una procedura d’infrazione per eccesso di deficit. Ci sarà parità di trattamento o Parigi sarà guardata in modo diverso da Bruxelles?
La Francia sarà sempre trattata in modo diverso dall’Italia, anche perché ha l’atomica. Parigi ha un peso assolutamente e indiscutibilmente maggiore anche nella tecnocrazia. Questo a prescindere da chi sia il Governo.
Quindi, l’atteggiamento di Bruxelles non cambierebbe anche se il Governo dovesse essere guidato dal Rassemblent National.
Esattamente, anche perché se è cambiata la Meloni, la Le Pen, che è molto più esperta di lei, farà altrettanto e meglio. Ha già iniziato con l’investitura di Bardella e la rottura con Zemmour.
(Lorenzo Torrisi)
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