Riprendere a vivere, tornare ad uscire e immaginare nuovamente un futuri più “felice”: con la campagna vaccinale sempre più spedita, l’Italia si appresta a vivere un’estate con la pandemia Covid-19 ancora presente ma non più “annebbiante” la mente della maggioranza dei cittadini. Il tema della “ripartenza” però rischia di trovare non pochi “ostacoli” se si tralasciano alcuni elementi esiziali per comprendere a fondo che tempi abbiamo e stiamo vivendo: nel suo “Sguardo Selvatico” su “La Verità” lo psicanalista e scrittore Claudio Risé mette in guardia tutti sul concetto di “riprenderci la nostra vita”.



«Il lutto non è stato del tutto elaborato; e quindi la fiducia, innanzitutto in sé stessi e nella situazione attorno, non è ancora completamente ritornata. Molti morti (non solo il povero Gigi Proietti) non hanno ancora trovato la loro sepoltura; e non è solo una questione di carte e registri, come crede la burocrazia», scrive l’esperto riportando i casi indegni di mancata sepoltura a Roma e sia in generale la presa di coscienza di un lutto, di una scomparsa, di una fine.



IL LUTTO E IL DOLORE DELLA PANDEMIA

«Finché non si onorano pienamente i morti, non c’è vera pace per i vivi», commenta Risé sottolineando come però non vi sia solo questo lutto da “rielaborare”, «Dopo più di un anno di prove e dolori veri e forti, nel corpo e nella psiche, scopriamo che gran parte dei rappresentanti di questa società non solo ha perso la «cognizione del dolore» cui Carlo Emilio Gadda dedicò il suo tragico e irriverente capolavoro». La società di oggi, attacca Risé parlando ai politici e a chiunque abbia un ruolo mediatico di rilievo nell’età che tutti stiamo vivendo, «vive come se il dolore non ci fosse mai stato, fosse roba di altri tempi […] Loro si appassionano soprattutto ai diritti, all’«odio» e alla lotta all’odio, al ddl Zan. Sono i cantori del prendere, ottenere, godere: diritti, soldi, fama, attenzione. A loro il perdere la vita, il coniuge, i genitori, i figli, (non solo per il Covid, anche in una funivia) non interessa».



Denuncia brutale e schietta quella che fa lo psichiatra e saggista contro la società che “desidera solo la felicità” senza considerare che vi è sempre un dolore corrispondente: secondo Risé questo è determinato anche dal fatto che ci troviamo nella società più anti-cristiana della storia, «la trascendenza inquieta e il sacrificio fa orrore. È una società che fa come se il dolore non ci fosse mai stato e sia qualcosa da cui stare accuratamente alla larga e di cui è inutile perfino parlare». Rielaborare il dolore, il lutto, non è però solo un elemento “giusto” per comprendere a fondo la complessità della realtà, è anche un modo per evitare ulteriori imbarbarimenti sociali e politici: «la società palliativa paradossalmente, crea estremisti». Il fatto è che senza l’azione trasformatrice del dolore «nasce la barbarie». Da cui difendersi, «dicendo la verità». I passaggi necessari sono pochi ma essenziali per Claudio Risé: riconoscimento degli errori, elaborazione dei lutti, affermazione delle verità pur se dolorose. Ne saremo davvero “capaci”?