La legge n. 2 del 28 gennaio u.s. di conversione del decreto legge n. 185 del 29 novembre 2008 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), ha previsto l’inserimento all’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, dopo il comma 2, di un comma 2 bis dal seguente tenore:
“Si considera attività di beneficenza, ai sensi del comma 1, lettera a), numero 3), anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei settori di cui al medesimo comma 1, lettera a), per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale”.
La beneficenza prima della riforma.
Quello della beneficenza è il settore di operatività Onlus previsto dall’art. 10, comma 1. lett. a), n. 3, del d.lgs. n. 460/1997. E’ un settore a solidarismo immanente, pertanto il perseguimento di finalità di solidarietà sociale si considera integrato con lo svolgimento delle attività ad esso relative, a prescindere dalle condizioni di svantaggio delle destinatari delle stesse.
I confini della beneficenza ai fini della disciplina Onlus sono stati tracciati dalla Risoluzione n. 292/E del 2002 che ne ha ampliato la nozione storica, riferibile all’“attività, diretta a sollievo della miseria, di chi esercita la carità verso il prossimo” (beneficenza cosiddetta diretta), per ricomprendervi “le erogazioni gratuite in denaro o in natura effettuate nei confronti di altre Onlus o di enti pubblici che operano nell’ambito dell’assistenza sociale e socio-sanitaria, dell’assistenza sanitaria, della tutela dei diritti civili, della ricerca scientifica indirizzata allo studio di patologie di particolare rilevanza sociale, degli aiuti umanitari” (beneficenza cosiddetta indiretta).
Le erogazioni effettuate a favore di enti che non rientravano nel novero di quelli sopra indicati non erano considerate “in ogni caso riconducibili alla beneficenza” e potevano presumibilmente essere considerate prestazioni benefiche solo in presenza della prova che tali enti, pur non essendo iscritti all’Anagrafe e non avendo personalità giuridica di diritto pubblico, operavano direttamente a favore di persone in condizioni di bisogno.
La beneficenza dopo la riforma.
Il nuovo comma 2 bis dell’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 prevede che “Si considera attività di beneficenza, ai sensi del comma 1, lettera a), numero 3), anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei settori di cui al medesimo comma 1, lettera a), per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale”.
La modifica è dunque intervenuta sulla nozione e sui confini della beneficenza che abbiamo definito indiretta.
Ora le Onlus potranno effettuare erogazioni liberali in denaro (sembrano essere state escluse, almeno sulla base di una interpretazione letterale, le erogazioni in natura) nei confronti di tutti gli enti senza scopo di lucro (non più solamente Onlus ed enti pubblici) che operano prevalentemente (quindi non esclusivamente) in uno qualsiasi dei settori previsti dall’articolo 10 del decreto n. 460/97 che, lo ricordiamo, sono i seguenti:
1) assistenza sociale e socio-sanitaria;
2) assistenza sanitaria;
3) beneficenza;
4) istruzione;
5) formazione;
6) sport dilettantistico;
7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico;
8) tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi;
9) promozione della cultura e dell’arte;
10) tutela dei diritti civili;
11) ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta da fondazioni o da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che la svolgano direttamente negli ambiti e secondo le modalità di cui al D.P.R. n. 135/2003.
Il generico rinvio ai settori di attività di cui all’articolo 10 lascia aperti alcuni interrogativi, tra i quali:
– può considerarsi beneficenza l’erogazione a favore di enti non lucrativi che operano nei settori a solidarismo cosiddetto condizionato (assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela dei diritti civili e promozione della cultura e dell’arte non finanziata dall’amministrazione centrale dello Stato) ma che non rivolgono (o non rivolgono in via esclusiva o prevalente) l’attività nei confronti di soggetti svantaggiati?
– può considerarsi beneficenza l’erogazione a favore di associazioni di ricerca scientifica?
Stando ad una interpretazione letterale e basandosi sulla presunta volontà del legislatore di ampliare decisamente la portata di operatività del settore in questione, verrebbe da pensare che la risposta sia affermativa, quanto meno rispetto al primo quesito. Si consideri, viceversa, che la il n. 11 prevede direttamente che l’attività di ricerca sia realizzata da fondazioni (o da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni).
Il nuovo comma 2 bis compie invece una precisazione molto importante: le erogazioni devono essere finalizzate alla realizzazione diretta (da parte degli enti beneficiari) di progetti di utilità sociale, elemento che riteniamo dovrà essere attentamente valutato e accertato dalla Onlus erogatrice.
Infatti, se fino ad ora l’interpretazione restrittiva dell’amministrazione finanziaria (contenuta nella Risoluzione n. 292/2002) ha consentito alle Onlus erogatrici di valutare l’idoneità delle proprie contribuzioni ad altre Onlus o ad enti pubblici su presupposti sostanzialmente formali, ciò non potrà valere per le erogazioni effettuate ai sensi del nuovo comma. Per esse, l’ente erogatore dovrà attivare una “istruttoria” diretta a stabilire sia dal punto di vista formale sia dal punto di vista sostanziale:
– l’assenza di scopo di lucro del soggetto destinatario dell’erogazione;
– l’esercizio, in via prevalente, di attività nei settori sopra indicati;
– l’esistenza e la reale “consistenza” di un progetto di utilità sociale cui il beneficiario destinerà le somme ricevute dalla Onlus;
– la destinazione effettiva delle somme in questione al suddetto progetto.
Non possiamo che salutare con favore questa integrazione della disciplina Onlus che va finalmente a premiare la sostanza sulla forma. Innumerevoli realtà ed iniziative benefiche di utilità sociale potranno così accedere ad un importante circuito di finanziamenti da cui sono state finora escluse per motivi sostanzialmente formali.
Certo, ciò comporterà per tutti una maggiore responsabilizzazione nell’attività posta in essere e l’impossibilità di trincerarsi dietro scorciatoie di natura formale.
Così gli enti benefattori dovranno istruire idonee procedure atte ad accertare e dimostrare la natura dei soggetti e delle attività finanziate e gli enti beneficiari dovranno attrezzarsi per attestare le forme di impiego dei contributi ricevuti e dimostrare l’impatto sociale della propria attività.
Una sfida, ne siamo certi, che il settore non profit saprà accogliere.
(Damiano Zazzeron e Maddalena Tagliabue)