“Ho avuto momenti di stanchezza, ho vissuto dubbi e contraddizioni ma non ho mai smesso di ricercare il Signore. Tra tante vicende della vita sento di non potere fare a meno del confronto con il Mistero e, in definitiva, con me stesso”. Così scrive il sindaco di Milano Beppe Sala in una lettera pubblicata oggi, vigilia di Natale, sul quotidiano Repubblica. Giorno delle confessioni più intime, delle rivelazioni tenute nascoste tutto l’anno, dove ognuno, credente o no, non può che impattare in una festività che si celebra in ogni angolo del mondo, la nascita di Gesù. E Sala rivela la sua fede, il suo credere in Dio: “Penso spesso che la mia fede non reggerebbe senza la pratica, senza la possibilità di entrare in un luogo di culto, senza la Messa della domenica. Ho bisogno della Messa, di sentire la voce, più o meno ispirata, di un pastore e di misurarmi con Gesù e con il suo Vangelo. Pur nella consapevolezza dell’ineluttabilità del confronto che nasce in me e ritorna in me”.
BEPPE SALA, “NON POSSO ACCOSTARMI AL SACRAMENTO”
Ed è proprio così, la fede non regge se ci si basa solo su se stessi, si può voler bene a Dio quanto si vuole nel proprio intimo, ma un cammino cristiano necessita di gesti concreti, a partire proprio dalla Messa. Il sindaco si professa uomo di grandi limiti, ma non può farsi bastare una intima relazione con Dio, dice. “La Messa della domenica è un momento di pace e di verità. Mi fa star bene, mi aiuta a sentire la mia umanità, i miei dolori, la mia essenza. La gratitudine e la precarietà”, ma c’è un “ma”, dolorosamente profondo. Da uomo divorziato “e in uno stato particolare (una convivenza, ndr)” non gli è consentito accostarsi al Sacramento. Un problema sentito da migliaia di persone e a cui prima o poi la Chiesa dovrà rispondere: impedire la cosa più importante della fede cristiana, mangiare il corpo di Gesù, non si impedisce neanche a un assassino, pentito ovviamente. “Amo stare insieme agli altri, condividere quel senso di solitudine e, allo stesso tempo, di comunione che la Messa ti dà. La liturgia ci insegna l’umiltà di essere come (e peggio) degli altri, di condividere la speranza, di far ammenda delle nostre miserie”. Conclude dicendo che bisogna essere popolo “anche fuori dalle porte della Chiesa” e ringrazia per la fede che gli dà l’energia ogni giorno per “rendere concreto il mio camino sulla via dell’equità”: “Altrimenti la parola di Dio rischia di rimanere scritta solo nei libri e non nei nostri cuori”.