Vendetta e rimorso, rabbia e perdono sono gli stati d’animo caratterizzanti Non odiare, opera prima di Mauro Mancini con un Alessandro Gassmann davvero sontuoso e che dalla presentazione al Festival di Venezia sta riscuotendo ampio consenso di pubblico e di critica.
I temi trattati, che avrebbero potuto rischiare di essere demagogici e ad alto rischio di retorica, sono abilmente affrontati dal regista che cede il passo della parola a silenzi profondi e significativi, dove la riflessione si interiorizza senza urlare e i sentimenti sono un vortice. Tratto da una storia vera accaduta in Germania, il regista descrive l’eterna lotta tra il perdono e la negazione (di esso) che il protagonista non riesce a superare e di cui si sente vittima vivendone il dolore.
Simone Segre (Gassmann) è un chirurgo di origine ebraica che sin da bambino ha subito da un padre autoritario i racconti della guerra e dei campi di concentramento, sempre dibattuto tra il vivere e l’annegare. La scena iniziale del film, infatti, vede un padre che ordina a suo figlio di scegliere solo un gattino tra una cucciolata. Gli altri dovrà infilarli in una busta e lasciarli andare alla deriva. Molti anni dopo quel bambino è diventato un affermato chirurgo, ebreo praticante.
Un giorno si trova a dover soccorrere un uomo vittima di un pirata della strada. Si precipita per prestare i primi soccorsi, ma scostando il lembo della camicia vede tatuata sul petto dell’uomo a terra una svastica. Scientemente, non riuscendo a perdonare, lo lascia morire, ma i sensi di colpa non tarderanno ad arrivare. Segre entra in una crisi che annuncia una possibilità, quella di confrontarsi con quell’odio sempre attuale, sempre terribile. La sua vita viene scossa da quell’episodio riportando a galla sentimenti nascosti mai sopiti. È possibile perdonare l’imperdonabile? Parrebbe di sì, ma le cose non sono così semplici.
Così riesce a individuare la figlia della vittima, Marica (Sara Serraiocco), offrendole un lavoro come colf. Marica non sa che il suo datore di lavoro è colui che ha lasciato morire suo padre. In poco tempo il chirurgo, colpito dalla ragazza, finisce col provare una forte attrazione per la giovane. Il problema è il fratello di lei, un naziskin convinto che non tollera che la sorella lavori per un “giudeo di merda”, facendo di tutto per opporsi e arrivando anche ad aggredire Segre il quale, in seguito, gli salverà la vita dopo che Marcello viene ferito da un’arma da fuoco.
Come dicevamo, la morale del film è una e si basa sul superamento dell’odio; il regista tratta l’argomento con sapienza aiutato da un Gassmann sublime anche nei silenzi. I dialoghi, infatti, sono ridotti al minimo, ma quanto basta a indurre comunque lo spettatore a riflettere sulla battaglia tra il bene e il male.
La continua problematica della contrapposizione ancor oggi molto viva tra ebrei e neonazisti viene affrontata con tatto, quasi in silenzio e con la drammaticità che esso comporta. Non odiare è anche una questione di “pelle”. Quella di Marcello che vorrebbe solo ariana e quella di Segre, ebraica. Quella stessa pelle che ci fa odiare il vicino di casa immigrato e che alimenta soprusi di ogni genere senza lasciare il passo al dialogo e all’integrazione.
Sullo sfondo, una Trieste affascinante quanto triste che sembra riportare alla memoria i fatti del passato tra questioni di coscienza e la voglia di superare il nonsenso e le contrapposizioni.
Fotografia e colonna sonora sono di buon livello. Unica pecca, a nostro avviso, è la scarsa attenzione al finale un po’ scialbo che avrebbe meritato altro tipo di attenzione visti gli argomenti trattati.