“Non ha pagato le tasse per la crisi generata dal Covid. Ed ha fatto bene”: in sintesi questo il sunto della sentenza promossa dal Tribunale di Milano, con la piena assoluzione per un’imprenditrice orafa che con la crisi degli scorsi 24 mesi non è riuscita a portare a termine il pagamento delle imposte.
Prima la crisi del settore, poi l’emergenza Covid a spezzare qualsiasi tipo di attività: e così, spiega il “Corriere della Sera”, una orafa milanese non è riuscita a pagare le varie tasse che spettavano alla sua azienda privata. «Per la seconda sezione penale del tribunale è in effetti provato che la contrazione del fatturato tra il 2012 e 2015, e la crisi finanziaria proseguita anche in seguito, fossero state determinate da fattori esogeni e assolutamente estranei alle scelte dell’imprenditrice». È stata assolta perché «le circostanze anormali ed eccezionali le hanno reso impossibile il pagamento delle tasse».
LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO
Avrebbe potuto in teoria fare ricorso al credito bancario per poter pagare l’Agenzia delle Entrate ma, spiegano i giudizi di Milano nella sentenza di assoluzione, l’imprenditrice nel campo dell’oro si è scontrata con il fatto che «le banche avessero già notevolmente ridotto tra 2012 e 2015 i fidi bancari concessi, sicché è verosimile dedurre l’indisponibilità delle banche a concedere ulteriori linee di credito alla società». Come spiega sempre il “CorSera”, l’azienda della imputata era impegnata in tre aree principali: produzione di zirconi, commercio di gemme preziose e produzione di un proprio marchio di gioielli. Con la prima attività l’imprenditrice era anche riuscita ad acquisire un’importante fetta di mercato, diventando terza produttrice mondiale addirittura: nel 2012 fino al 2015 la crisi del settore, a causa della concorrenza con il mercato del sud-est asiatico, le infligge un pesantissimo stop sull’espansione di commercio. Fatturato ridotto del 50% e impossibilità a pagare le banche che le avevano fornito liquidità all’inizio: la donna si vede costretta a mettere in cassa integrazione i lavoratori, rinunciando ai propri compensi e immettendoli in azienda al pari di altri conferimenti di risorse personali. Insomma, l’imprenditrice pare averle provate davvero tutto per resistere ma ciò comunque non è servito ad arginare la crisi ed è stata dunque costretta a licenziare i due terzi dei dipendenti. Nel 2020, con lo scoppio dell’emergenza Covid, il pagamento della cartella esattoriale di oltre 440mila euro che aveva fatto rateizzare nel 2019 le diviene impossibile da pagare. Per tutti questi motivi, sostengono i giudici nella sentenza, «l’imputata non è rimproverabile, in quanto la condotta di omesso versamento delle imposte, seppur volontariamente temuta, le è stata ‘imposta’ da circostanze anormali ed eccezionali, tali da rendere soggettivamente inesigibile il comportamento lecito», e da «incidere sulla colpevolezza».