«Dobbiamo essere onesti con noi stessi e con i nostri pazienti: non possiamo fare tutto e salvare tutti»: così il dottor Yojiin Na in una lunga lettera pubblicata dal New York Times. Il professore, che lavora in un pronto soccorso di NY, ha raccontato la sofferenza di un medico al tempo del coronavirus, dei suoi dilemmi di fronte a pazienti che hanno poco da vivere, soprattutto se con quadri clinici disperati. Na ha fatto l’esempio di un paziente di 80 anni, ancora lucidissimo, evidenziando che una situazione simile offusca il giudizio anche di un dottore navigato: «L’essere umano che è in me voleva disperatamente che uscisse dall’ospedale, il dottore che è in me sapeva che non sarebbe sopravvissuto: come si trasmettono speranza e realtà in parti uguali in tali circostanze?». L’emergenza sanitaria ha inferto un duro colpo all’America – «ho visto morire più persone nelle ultime sei settimane che negli ultimi sei anni» – e il dottor Robert Redfield (direttore del Centre of Disease Control and Prevention) ha annunciato una seconda ondata in arrivo…



“CORONAVIRUS, SERVE ONESTA’: NON POSSIAMO SALVARE TUTTI”

Il dottor Yoojin Na ha evidenziato che molti medici stanno rinunciato alle pause per poter stare vicini ai pazienti, ma tutto ciò non può bastare. Na ha preso parte ad un recente convegno sulle cure di fine vita insieme a molti colleghi e si è posto una domanda: «Come possiamo decidere chi deve essere rianimato e chi no?». Gli esperti hanno sancito che i pazienti senza battito, data la mancanza di ossigeno nei loro cervelli, non hanno chance di sopravvivenza, per questo motivo è necessario concentrare attenzione e risorse nei pazienti in arresto cardiaco che ricevono CPR, in grado di poter preservare funzioni cerebrali.



Ma il dottor Na ha dovuto fare i conti con un momento di sconforto: «Quando un mio collega ha chiesto cosa fare in caso di pazienti pediatrici, ho spento il microfono ed ho iniziato a piangere». Na ha messo in risalto che spesso i pazienti ed i loro parenti cercano rassicurazione, ed in questo momento difficile «una parte di me vuole solo mollare e dire loro quello che vogliono sentirsi dire». Tornando al caso dell’80enne sopra citato, Na ha chiuso il suo racconto toccante: «Se potessi tornare indietro nel tempo, vorrei aver dato a quel paziente un abbraccio, tenere la sua mano e ascoltare più attentamente le storie che condivideva con me. E durante quel tempo averi voluto dirgli la verità: “Stai per morire, ma sono qui con te”».

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