Alcuni mesi fa i rettori protestarono per la scarsa attenzione dell’Esecutivo al mondo dell’università; in questi ultimi giorni hanno denunciato un taglio ulteriore dei finanziamenti all’istruzione superiore che mette a repentaglio l’andamento della vita quotidiana negli atenei. La notizia è drammatica se si tiene conto che la spesa per l’università era già largamente inferiore a quella degli altri Paesi OCSE e che proprio l’investimento in istruzione superiore è fondamentale per lo sviluppo del Paese. Purtroppo le denunce dei rettori non sembrano essere ascoltate. Coloro che dovrebbero occuparsi di università sembrano molto più interessati ai congressi di partito e una certa parte della stampa, dopo la prima protesta delle autorità accademiche, ha orchestrato virulenti e indiscriminati attacchi contro i professori universitari, rei di ogni possibile nefandezza. Questi stessi soggetti, mentre sbandierano le liberalizzazioni come la panacea per molti settori, ignorano l’avvio di un processo di reale autonomia nell’istruzione superiore che permetterebbe agli atenei di muoversi con maggiore libertà normativa ed avere la possibilità di reperire mezzi dal mondo privato in virtù del valore delle iniziative proposte.



Eppure, quando ci si muove in modo libero i risultati possono essere sorprendenti e confortanti. Un esempio per tutti è dato da una iniziativa dell’IMT Alti Studi di Lucca, Graduate School disegnata per promuovere dottorati per l’innovazione a orientamento applicativo. L’IMT nel novembre 2006, grazie a una donazione esterna di Farmindustria ha aperto una tornata di selezioni nell’area di Economia Mercati Istituzioni. Il bando aveva lo scopo di attrarre giovani ricercatori intorno a un gruppo di professori visiting chiamati a svolgere ricerca, insegnamento e supervisione degli allievi. La qualità richiesta era altissima: i candidati dovevano essere selezionati sul mercato internazionale sulla base delle loro pubblicazioni, del loro inserimento reale in network di ricerca internazionali e dell’esito di un seminario di ricerca tenuto davanti ai professori della facoltà.



A fronte di un’incapacità generale dell’Italia di attrarre docenti e studenti stranieri, soprattutto nel campo dell’alta formazione e nei programmi di dottorato, in questo caso la serietà della proposta del lavoro di ricerca, l’adeguatezza delle retribuzioni, il rigore dei criteri di selezione, hanno portato a risultati impressionanti. Un intenso lavoro istruttorio di una commissione internazionale ha portato a selezionare 2 giovani ricercatori, sulla base di 276 domande provenienti da 151 università. Di queste domande: 120 (43%) provengono da candidati con PhD conseguito in un Paese europeo diverso dall’Italia, 90 (33%) da candidati con PhD ottenuto negli Stati Uniti; 132 (48%) da candidati con PhD avuto in uno dei primi 100 dipartimenti di economia al mondo e 45 (16%) da italiani con PhD estero. Perché questo esempio dell’IMT non può diventare una norma per tutti gli atenei per l’alta formazione e per tutti gli aspetti della vita universitaria? Perché uno Stato senza fondi almeno non deburocratizza la legislazione e non permette agli atenei di muoversi liberamente come grandi realtà autonome non profit, analogamente a quanto avviene nei Paesi anglosassoni?

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