Il Regno Unito e la Lombardia si sono recentemente spostate verso il modello dei quasi-mercati. Lo hanno fatto a causa dei problemi che, inevitabilmente, i sistemi statalisti incontrano: essi sono inefficienti, ingiusti, sono organizzati nell’interesse degli erogatori più che degli utenti, e sono fondamentalmente paternalistici. I quasi-mercati invece forniscono incentivi molto forti ad aumentare l’efficienza e a promuovere l’innovazione, perché le scuole e gli ospedali che non sono efficienti e innovativi tenderanno a rimanere indietro e a perdere la loro posizione. Essi realizzano anche un sistema più equo.
Perché i quasi-mercati sono più equi
Anche se spesso la gente crede che introdurre la possibilità di scelta finisca per favorire la fascia di popolazione più agiata, nei fatti, essa tende a bilanciare la distribuzione del potere. Alcuni studi che abbiamo condotto in un ospedale inglese, su chi realmente preferisse la libertà di scelta, mostrano in modo inequivocabile che le persone in ristrettezze economiche desiderano tale libertà più di quelle benestanti. In dettaglio, la libertà di scelta era richiesta più dalle donne che dagli uomini, dalle persone di livello culturale inferiore rispetto a quelle con formazione superiore, e dalle classi sociali con un reddito inferiore rispetto a quelle con un tenore di vita più alto. E questo, credo di poter dire, non vale solo nel Regno Unito: negli Usa sono stati condotti studi che dimostrano come le minoranze etniche richiedano la libertà di scelta più delle comunità bianche; anche in Nuova Zelanda è vero che i gruppi sociali più poveri vogliono più possibilità di scelta rispetto alle fasce più agiate, e perfino in Finlandia, la patria della democrazia sociale, le fasce sociali più giovani e più povere desiderano più libertà di scelta rispetto alle fasce sociali più abbienti.
Perché i quasi-mercati possano funzionare in modo adeguato occorre la concorrenza – non si devono avere monopoli e un monopolio privato è peggio che avere un monopolio di Stato – e ci deve essere la possibilità di entrare e uscire dal mercato. Ci deve essere anche una adeguata informazione per gli utilizzatori. Stiamo sviluppando anche fonti di informazioni via computer attraverso le quali gli utenti possono ottenere le informazioni di loro interesse sugli ospedali che stanno utilizzando, anche sui medici stessi. E ci deve essere infine una ridotta opportunità per la “scrematura”, che rappresenta un vero problema, soprattutto nell’educazione. E’ ciò che avviene quando è la scuola che sceglie gli alunni, e non il contrario, e la tentazione è sempre di scegliere gli allievi che danno meno problemi e richiedono meno investimenti educativi. Per affrontare questo problema, un’idea interessante è il cosiddetto premio di svantaggio o voucher discriminante, che comporta una somma di denaro o un voucher maggiore ai bambini di famiglia povere rispetto a quelli provenienti da famiglie ricche. In questo modo le scuole sono stimolate ad accettare i bambini poveri perché così ricevono più risorse.
L’idea del baby bond
In Europa si sta diffondendo una nuova idea per investire nei giovani, fondata su un approccio al welfare finalizzato ad accrescere le risorse e i capitali delle persone, oltre che ad assisterle fornendo loro delle entrate. Si tratta di un’area spesso trascurata in molti sistemi, che si preoccupano di capitale umano ed educazione ma tralasciano la salvaguardia delle risorse, del capitale fisico e finanziario.
Tuttavia, esistono forti prove che questo è un aspetto molto importante, cioè che gli individui e le famiglie con capitali, rispetto a chi non ne ha, godono di migliori condizioni di salute, di minori tassi di mortalità, di maggiore stabilità dei legami familiari, hanno migliori risultati scolastici, una minore esposizione ad episodi di violenza e un’accresciuta attitudine al risparmio. Si verifica sempre questo “effetto risorse”, dove il possesso di risorse, di capitale fa la differenza nei risultati.
Quando abbiamo introdotto il baby bond eravamo preoccupati di una reazione negativa da parte dei più poveri, che avrebbero potuto chiedere: “Perché non hanno fatto sì che ricevessimo noi direttamente i soldi? I bambini hanno bisogno e i soldi sono invece bloccati in un conto”. Quindi abbiamo condotto dei sondaggi presso genitori delle aree più depresse e abbiamo scoperto che preferivano che il bond fosse utilizzato in questo modo, piuttosto che speso nella scuola, e che fosse bloccato e che loro non potessero quindi disporne. I poveri pensavano anche che il bond li avrebbe stimolati a risparmiare e che, inoltre, avrebbe spinto anche nonni e amici a risparmiare per questo fine, cosa questa interessante. In effetti, in precedenza i nonni erano restii a dare ai genitori soldi per i bambini, in quanto pensavano che i genitori li avrebbero spesi subito, ma con il conto possono controllare che i soldi vadano e restino al bambino.
Lo Stato come”attivatore” e investitore
Quasi-mercati e welfare basato sulle risorse condividono entrambi con il modello lombardo, mi sembra, una filosofia centrata sulle persone e le famiglie. Cambia anche il ruolo dello Stato: invece di essere fornitore di servizi, diventa un “attivatore”. Se non piace questo termine, si può usare quello di investitore. Non dice più ai singoli cosa fare, ma mette a disposizione le risorse per permettere ai singoli e alle famiglie di raggiungere i loro obiettivi. Questo mi sembra essere l’essenza del modello lombardo ed è l’essenza del modello che stiamo cercando di sviluppare nel Regno Unito e, per quanto mi riguarda, è il “meno peggio” tra i modelli per erogare welfare e servizi sociali.
In generale, penso che sia buona cosa utilizzare in un quasi-mercato organizzazioni del settore privato e del non profit. Soprattutto per quanto riguarda queste ultime, perché uno dei problemi per i quasi-mercati è la capacità di dare informazioni agli utenti, di metterli in grado di controllare la qualità dei servizi offerti. Quindi, essendo difficile valutare la qualità, occorrono fattori che ispirino fiducia, che ci si possa fidare dell’ente con cui si sta contrattando; e una organizzazione non profit può essere considerata dalla pubblica amministrazione più affidabile di una impresa che tende al profitto.



(Il testo, non rivisto dall’autore, è un estratto dell’intervento svolto il 15 giugno 2007 nel ciclo di seminari Governance: the Lombardy Way. Assessing an Experience, Designing New Perspectives organizzato da IReR)

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