L’Agenzia delle entrate ha pubblicato il “modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini fiscali” da parte delle associazioni, ai sensi dell’articolo 30 del DL 185/08, che andrà compilato dalle associazioni e inviato all’Agenzia delle entrate entro la fine del prossimo mese di ottobre.

Molto al di là del già invasivo dettato normativo, il provvedimento estende l’obbligo di comunicazione dei dati sostanzialmente a tutte le associazioni, escluse (almeno!) quelle di volontariato. I dati da comunicarsi, poi, non sono solo quelli relativi all’applicazione della norma (che riguarda gli enti che godono della decommercializzazione di alcune entrate ai sensi dell’articolo 148 del Tuir), ma sono relativi ad ogni aspetto della vita associativa.



Per esempio, occorre comunicare a che titolo vengono occupati i locali nei quali si svolge la vita associativa; se l’associazione si avvale di personale dipendente; se riceve proventi da sponsorizzazione; se si avvale di messaggi pubblicitari; se gli eventuali beni venduti hanno prezzi inferiori a quelli di mercato; se gli amministratori sono anche assunti come dipendenti; l’ammontare delle erogazioni liberali ricevute; l’ammontare dei contributi pubblici; l’ammontare degli avanzi di gestione… e via di seguito per un totale di 38 domande.



Appare chiaro che questo ennesimo adempimento metterà in seria difficoltà molte piccole associazioni che si troveranno a dover compilare un  modulo assai complesso senza essere dotate di un adeguato impianto amministrativo.

È importante ricordare, infatti, che la grande maggioranza delle associazioni italiane è di dimensione piccola o piccolissima e che la media delle associazioni ha entrate che non superano qualche decina di migliaia di euro l’anno: uno strumento di controllo, a nostro avviso, deve essere innanzitutto adeguato alla natura e dimensione dell’oggetto che vuole controllare.



Molti dei dati richiesti, poi, non hanno alcuna rilevanza fiscale e con l’acquisizione degli stessi il ministero dell’Economia e delle Finanze esprime la volontà di controllo “a tutto tondo” di un fenomeno – quello associativo – che oltre ad essere espressione della società civile la cui libertà non può essere messa in discussione, costituisce altresì una enorme ricchezza per il nostro paese ed un pilastro insostituibile del nostro sistema di welfare.

Se la volontà da cui il provvedimento discende non è quella di colpire indiscriminatamente il mondo delle associazioni, ma è quella di individuare fenomeni elusivi in esso presenti, occorre che si individuino modalità adeguate al perseguimento dello scopo che non mettano in difficoltà i soggetti controllati.

Peraltro, la nostra storia sta dimostrando che non è con il moltiplicarsi degli adempimenti formali che si combattono comportamenti contrari alla legge: questo provvedimento, oltre ad essere sproporzionato al fenomeno che vuole controllare, corre il rischio di dimostrarsi anche inefficace!

Ci sembra giunto il momento di rendersi conto che, al di là delle buone intenzioni, nulla è stato fatto per sostenere le realtà di privato sociale del nostro paese: il 5 per mille non è a regime; gli enti pubblici trattano gli enti non profit come sub fornitori a basso costo di servizi programmati dalle varie amministrazioni e li pagano dopo moltissimi mesi; la normativa relativa al terzo settore è pasticciata, gli interlocutori tantissimi e i formalismi inutili fanno perdere tante energie che potrebbero essere usate meglio, gravando di costi gli enti spesso già lontani dal pareggio economico.

È necessario che sia posta a tema dell’agenda politica una seria valorizzazione di questo settore, come prospettato dal libro bianco del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, cui speriamo conseguano presto tentativi di attuazione.

Si tratta di trarre le adeguate conseguenze dell’affermazione che se la società italiana ha retto meglio di tanti altri paesi alla recente crisi economica, la ragione va ricercata anche in un privato sociale avvezzo ai sacrifici e abituato a rispondere ai bisogni senza aspettare l’intervento pubblico, nemmeno dove questo fosse dovuto.

In attesa di una riforma del sistema del welfare che riconosca sussidiariamente l’enorme ricchezza che gli enti del terzo settore apportano al nostro paese, almeno non si utilizzi la burocrazia quale arma per impedire loro di vivere e di operare. In attesa delle riforme, si lasci loro un po’ di libertà.

(Monica Poletto – Presidente di CDO Opere Sociali)