«Non sappiamo più educare i giovani, solo compiacerli o incensarli»: è una presa di posizione tanto forte quanto coraggiosa (e “contro corrente”) quella tenuta da Ernesto Galli della Loggia sulle pagine del Corriere della Sera oggi. Le ultime “conquiste” sbandierate dall’opinione pubblica su voto ai 18enni e l’arrivo dell’educazione civica in realtà raccontano una realtà tutta diversa da quella “narrata”: «“Da oggi i giovani contano di più”, come se dopo la medesima estensione del diritto di voto per la Camera mezzo secolo fa qualcuno si fosse mai accorto che i suddetti giovani avessero cominciato a “contare di più”».



Ingraziarsi i giovani, dalla politica al mondo della cultura e dei media, è divenuta una parola d’ordine “non detta” in Occidente, accusa Galli della Loggia: «Compiacere i giovani è divenuto così il primo comandamento di chiunque intenda apparire al passo dei tempi e magari giovane anche lui: dal ministro dell’Istruzione al sindaco dell’ultimo borgo d’Italia che si farebbe impalare pur di non chiudere una discoteca da diecimila decibel». Educare è tutto il contrario dell’adulare o incensare che invece li porterebbe ancora di più alla rovina: «così li si rinchiude nell’informe in cui essi ancora consistono e dal quale invece devono essere aiutati a uscire, «e-ducati» (condotti fuori: ah la folgorante perspicuità della lingua latina!). Per l’appunto l’educazione non l’incensamento è il vero diritto che i giovani possono, e devono, accampare nei confronti della società».



LA SFIDA DELL’EDUCAZIONE

Il vero problema, sottolinea ancora il professore ed editorialista del CorSera, è che noi come popolo, come famiglie, sembriamo aver dimenticato cosa significhi davvero educare: «Non sappiamo educare le nuove generazioni, dare loro una misura e un retroterra, e quindi un orizzonte di senso per l’oggi e per il domani; riempire di un contenuto positivo di attesa e di speranza gli anni d’apprendistato che esse vivono. Incapaci ormai di fare qualcosa del genere abbiamo creato uno spaventoso vuoto educativo». Fallisce la famiglia ma anche la scuola, in una società italiana ancora alla ricerca di una nuova “dimensione” dell’educazione: «vano immaginare che il rimedio a tale fallimento possa essere una frigida pedagogia ad hoc sotto forma ad esempio dell’appena decretata introduzione dell’«educazione civica», una nuova pseudomateria in condominio tra tutte le altre materie», ripete ancora durissimo Galli della Loggia.



Istruirsi non significa avere conoscenze fine a se stesse, ma dovrebbe portare un retaggio sempre più ampio nel quale le nozioni vi entrano: appropriarsi di un retaggio, inserito nel contatto costante con la realtà umana circostante, contribuisce alla costruzione dell’identità. Ma tutto questo rimarrebbe “incompleto” se non vi fosse un educatore a cui guardare, un maestro: «Vuol dire cioè apprendere dall’esperienza viva che cosa può significare per noi un essere umano in carne e ossa — non la fantasmatica immagine sullo schermo di un computer — con il quale entrare in un contatto personale e diretto. Vuol dire sperimentare quale esempio di passione , di conoscenza e di verità la sua istruzione significhi per lui ed egli possa trasmetterci». Più Leopardi, meno educazione civica: questo lo “slogan” che si evince dal fondo di Galli della Loggia, un invito ai giovani (e agli adulti) per una volta non a “fare” ma a “vivere”.