È in crescita nell’Ue la domanda di adeguamento degli standard ambientali alla sostenibilità economica. Il trasferimento del problema di sostenibilità dall’ambiente a quello economico è motivato da dati reali: l’eccesso di pressione decarbonizzante in una finestra temporale breve – dove tra l’altro l’Ue è un unicum ecoregolativo nel pianeta – tende ad avere un impatto depressivo. A me sembra ovvio cercare un’armonizzazione tra politiche di reazione al cambiamento climatico e attività produttive per evitare guai sistemici gravi. Per questo ho da tempo chiesto al mio gruppo di ricerca di studiare l’ecoconvergenza in un programma chiamato Ecocube: ecologia ed economia convergenti più nuovi sviluppi tecnologici e finanziari espansivi.
Tale programma non è econegazionista, cioè non nega l’impatto antropico su natura e clima. Nemmeno nega il Full Cost Principle, cioè l’inserimento dei costi di impatto ambientale nelle statistiche economiche. Ma invece di frenare il capitalismo tecnologico o imporre restrizioni insostenibili, propone una formula di ecoadattamento guidato dall’ecologia artificiale.
Quando insegnavo alla University of Georgia, nei pressi di Atlanta, dove era obbligatoria per tutti i corsi l’Environmental Literacy chiedevo agli studenti di International Futures (scenaristica): dobbiamo salvare quello specifico bosco o creare le condizioni per avere un bosco? Messo così il tema, la maggioranza rispondeva che dobbiamo creare e la minoranza che dobbiamo conservare la natura senza metterci un dito, affermando la priorità di Gaia contro il principio antropico. Poi continuavo analizzando il rapporto sui limiti dello sviluppo (Club di Roma, 1973) mostrando che tali limiti sono immensamente, pur non infinitamente, modificabili e che la tecnologia era il modificatore. Ora l’istruzione ai miei ricercatori è di combinare ecoadattamento ed ecologia artificiale nella transizione – probabilmente trentennale – verso la convergenza tra sostenibilità ambientale ed economica nell’area G7 e dintorni per poi esportarne la tecnometodologia al resto del mondo.
Da dove iniziare a correggere l’ecoirrealismo dell’Ue? Certamente dal settore della mobilità. Come? Nessun divieto ai motori termici combinato con incentivi per la ricerca di nuovi combustibili non inquinanti: e-fuel basati su idrogeno (ammessi dall’Ue), biocarburanti innovativi (non ancora ammessi, da ammettere) in particolare per camion, ecc. Poi incentivare motori a Fuel Cell alimentati a idrogeno e con ossigeno come scarico. Auto elettriche? Nel mix delle diverse opzioni di mobilità troveranno un loro spazio, ma questo deve essere deciso dal mercato e non da burocrati o ecoconservatori.
Poi? Priorità parallela è l’aumento di energia elettrica a costi bassi via diffusione di mini centrali nucleari di nuova generazione, senza abbandonare altre fonti se veramente efficienti. Poi? Terraformazione selettiva per la sicurezza territoriale. Potere ecocognitivo contro sbagli econservatori.
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