Ormai i cittadini stanno sperimentando con l’andamento delle bollette elettriche i costi aggiuntivi (e sempre taciuti dai governanti) della politica climatica dell’Ue. È colpa delle rinnovabili per alcuni. No, è colpa della mancanza di fonti rinnovabili per altri. C’entra la componente speculativa di derivati e future sul barile, gas e certificati di emissioni di CO2 secondo qualche osservatore più attento. La sostanza rimane che il prezzo attuale del gas si è quasi decuplicato rispetto al minimo dell’anno scorso (6€/MWh contro 58€/MWh), le quotazioni del barile sono tre volte e mezzo la media dello scorso anno, l’elettricità che viaggiava mediamente sui 40€/MWh nel 2020 ha toccato 140€. Si conferma per l’Italia il primo posto tra i Paesi europei per il caro-energia, caratteristica che la contraddistingue da 50 anni nonostante tutte le riforme.



Le prospettive sono, come anche anticipato dal Ministro Cingolani, un aumento del 30% delle prossime bollette del gas e del 25% per la luce. Un aumento che è impensabile da far assorbire al mercato e che richiederà, per la seconda volta, un intervento del Governo distorcendo tutti i meccanismi di aggiustamento di mercato su cui faceva affidamento l’Arera, autorità di regolamentazione dell’energia.



Al di là delle considerazioni sulle tragiche conseguenze sociali di questa inflazione verde strutturale che porterà centinaia di migliaia di famiglie italiane a confrontarsi con una situazione di povertà energetica mai sperimentata prima, andiamo a considerare la situazione strettamente da un punto di vista teorico-economico. Elevati prezzi dell’energia sono nel medio-lungo termine le leve più efficaci per cambiare i modelli di consumo e rendere attraenti gli investimenti in modelli di produzione a basso carbonio. L’efficientamento si ottiene spingendo i prezzi dell’energia all’insù. Del resto, il sistema produttivo italiano che da anni si confronta con il macigno dei prezzi più alti dell’energia è anche uno dei più avanzati nel risparmio energetico. Però questo assunto andrebbe bene se fossimo in un sistema chiuso mentre non regge più stando in un’economia globalizzata.



L’energia è un fattore di produzione importante. La manifattura europea che paga il gas 58€/MWh compete, per esempio, con concorrenti statunitensi che lo pagano 15€/MWh. Non c’è competizione che tenga. E tanto peggio sarà per il sistema produttivo nazionale per cui l’export è un driver fondamentale della crescita economica del Paese. Indispensabile, ricordiamolo, per essere in grado di restituire dopo il 2026 i fondi del Pnrr che ci stanno piovendo addosso.

C’è un altro aspetto legato a questi sbalzi di prezzo delle materie prime energetiche finora poco attenzionato: la sicurezza dell’approvvigionamento della corrente elettrica. Una preoccupazione tutt’altro che pellegrina che riflette disfunzionalità strutturali del mercato ed elementi congiunturali. Le scorte di gas europee sono ai minimi livelli e più della metà del fabbisogno italiano è coperto da centrali a gas e dipendenti a più del 80% dall’estero. I fattori sono molteplici. Intanto c’è stato un inverno rigido durato fino a maggio che ha prosciugato le dotazioni. È aumentata sui mercati internazionali la richiesta asiatica di gas perché il carbone, fonte che in quelle economie non è ancora al bando, non è sufficiente a soddisfare l’aumento di domanda. La Norvegia, che ha appena eletto un Governo di sinistra intenzionato ad abbandonare l’estrazione di idrocarburi dal mare del Nord, ha ridotto le forniture. La Russia sconta qualche problema tecnico dell’infrastruttura di trasporto; queste strozzature potrebbero rientrare dopo l’attivazione del gasdotto Nord Stream 2 dai giacimenti russi alla Germania bypassando l’Ucraina. Qualcuno avanza anche l’ipotesi che la Russia stia deliberatamente centellinando l’output di gas per trarre vantaggio dalla favorevole congiuntura di prezzi. Senza contare che dagli Usa arrivano meno carichi di gas liquefatto sia perché intercettati dalla locomotiva asiatica, sia perché il Presidente Biden per accondiscendere al Green Deal, ha preso di mira la produzione di fracking.

Questo gomitolo di concause rende l’ipotesi di un’interruzione di corrente nei prossimi mesi parecchio seria. Per quanto il sistema elettrico italiano abbia conquistato l’invidiabile performance del 45% di rinnovabili, queste non sono una garanzia all’ininterrompibilità della fornitura. La fragilità strutturale del sistema elettrico nazionale fortemente dipendente dall’estero (ringraziamo i 56 reattori francesi) si è già evidenziata. Nel settembre 2003 sperimentò il più grave blackout mai capitato nella storia elettrica mondiale.

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