Manovra di 3,8 miliardi di euro per calmierare gli aumenti previsti della bolletta luce e gas. Si tratta di una “manovra nella manovra”, con interventi correttivi sul bilancio dello Stato senza però modificare i saldi 2021 e 2022, quella approvata in Consiglio dei ministri per reperire dei fondi per ammortizzare ulteriormente i rincari su gas ed elettricità previsti per il primo gennaio.
Le risorse saranno recuperate attingendo agli avanzi dei vari decreti varati durante l’emergenza e da altri fondi parzialmente utilizzati, per arrivare a raggranellare altri 1,3 miliardi di euro che vanno ad aggiungersi ai 2,5 miliardi già stanziati. Saranno sufficienti a contenere gli aumenti dei prezzi del 35% per il gas rispetto al previsto +50% e del 15% per la corrente elettrica rispetto al +25% senza interventi governativi. Al consumatore domestico finale medio con 3kW di potenza installata, questi incrementi corrispondono all’incirca a un maggiore esborso annuo di 1.000-1.200 euro.
Ci si interroga se questa escalation dei prezzi, che ha varie cause strutturali e fattori contingenti tra cui non ultimo fiammate speculative, sia davvero passeggera. Negli ultimi 11 mesi in Europa le quotazioni all’ingrosso del gas sono più che quadruplicati: passando da 20€/MWh dell’inizio dell’anno agli attuali 95€/MWh. Alla borsa elettrica il megawattora all’ingrosso ha toccato 362,43€ (il prezzo orario 3/12 alle ore 10). Le misure del Governo italiano, imitate anche da altri Paesi europei, sono poca cosa rispetto alle forti tensioni sui prezzi.
Stiamo pagando le conseguenze dell’accelerazione delle politiche di transizione energetica che hanno spinto al più forte calo degli investimenti nell’estrazione del gas registrato negli ultimi anni. Una riduzione, secondo le rilevazioni dell’Agenzia internazionale dell’energia di Parigi, del 40% nella spesa complessiva del settore Oil&Gas spaziando dalla fase estrattiva alla realizzazione di infrastrutture, come rigassificatori per consentire l’approvvigionamento di gas naturale liquefatto trasportato via mare e gasdotti. Non aiutano a placcare i mercati neppure le recenti ritorsioni geopolitiche come la sospensione dell’iter di approvazione del gasdotto Nord Stream 2 che collega la Germania ai pozzi russi. La soluzione, secondo i politici, è avere più rinnovabili. Corretto ma comunque non ci affranca dal gas.
Sorpresi? Ciò che viene sottaciuto è che l’energia verde, intermittente e non programmabile, necessita di sistemi di accumulo. In attesa che la tecnologia ci porti delle batterie sostenibili per scala dimensionale ed economica, questo backup viene svolto da centrali termoelettriche a ciclo combinato alimentate a metano che possono essere accese e spente, a seconda delle necessità, idealmente nel tempo di azionamento di un interruttore. Questi impianti volti a garantire la sicurezza del sistema e l’approvvigionamento di energia elettrica, con risorse sempre disponibili per coprire le punte di carico in ogni area della rete ed evitare così dei blackout, rientrano nel novero del cosiddetto “capacity market”, che è regolamentato mediante un sistema di aste e consente agli impianti di partecipare a contratti di capacità produttiva incentivati. Attualmente questo meccanismo sta spingendo a fare nuova capacità installata. Sono in attesa dell’autorizzazione una cinquantina di progetti di impianti a gas per una potenza stimata di 20mila MW pari a una decina di miliardi di investimenti. Ma ciò che è decisamente un’incongruenza, come ha rilevato Jacopo Giliberto sul Sole 24 Ore, è che impianti già esistenti a gas a ciclo combinato, i quali non sono incentivati dal capacity market quanto le centrali nuove di stessa tecnologia, rischiano di essere mandati fuori dal mercato. Allora non rimane che ovviare con della “cosmesi” progettuale: proporre come nuovi impianti a gas a ciclo combinato degli impianti a gas a ciclo combinato già operativi.
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